giovedì 14 dicembre 2006

MIUR - Parte generale dell'indagine

Parma 11 novembre 2006

PRESENTAZIONE INDAGINE E CANDIDATURA ELEZIONI UNIVERSITARIE

Introduzione

Carissimi,
il 16 e 17 maggio del 2007 saremo chiamati a votare i nostri rappresentanti universitari. È un appuntamento molto importante per tutti noi perché dovremmo scegliere chi ci rappresenterà in Università per i prossimi due anni. Queste elezioni si dovevano già effettuare l’anno scorso, ma, siccome sarebbero avvenute in concomitanza con le elezioni governative, sono state spostate al maggio prossimo, con un anno di distanza. Io sicuramente mi candiderò per l’Università di Parma, ed è per questo che presento qui di seguito un indagine sulla situazione della nostra Università, in particolare sul Dipartimento di Beni Culturali e dello Spettacolo e il mio programma elettorale.
Siccome per me è sempre molto importante un confronto con gli studenti, la mia campagna elettorale sarà proprio insieme agli studenti, cercando di capire i loro problemi e le loro esigenze, partendo da quella lettera, che da due anni è appesa alla segreteria della sezione di tale Dipartimento in Via D’Azeglio e che nessuno ha mai letto dei nostri rappresentanti di Università, e che quindi, se non viene portata all’attenzione di tutti i membri del consiglio studentesco e non, purtroppo il problema resterà irrisolto.
Pronto a partire per questa nuova avventura con un sacco di forti emozioni, vi mostro qui i risultati della mia indagine e il mio programma elettorale.
Un caloroso saluto a tutti
MATTEO BRAGA

Presentazione del candidato

Matteo Alberto Ferruccio Braga è nato a Brescia il 19 maggio 1985, risiede nella stessa città di Brescia in Via Carlo Montanari, 2 (25128) ed è di nazionalità italiana. Suo contatto telefonico è 333/5654338 (cellulare) acceso per ogni informazione e delucidazione 24 ore su 24. Inoltre è possibile contattare lo stesso all’indirizzo e-mail: matteo.braga@studenti.unipr.it, che il sottoscritto controlla almeno 2/3 volte al giorno,in modo da garantire una risposta rapida.
Dal 03/03/03 al 15/03/03 ho svolto uno stage presso l’Agenzia Turistica “Lentour Bassa Bresciana Viaggi, s.r.l.” in ambito di uno stage scolastico dove ho ricevuto attestati di considerazione “ottima la curiosità di scoprire ed imparare più cose possibili” di sapere rispettare orari e comportamenti conformi alle esigenze del lavoro d’ufficio (4, su una scala da 1 a 4), nel comportamento di sapere utilizzare un linguaggio tecnico e pertinente all’indirizzo dell’azienda (4, su una scala da 1 a 5), dimostrazione di sapere organizzare con una sufficiente autonomia il proprio lavoro in ufficio (3, su una scala di punteggio che va da 1 a 4). Inoltre, sempre in questo stage, ho potuto imparare a saper fare: utilizzare gli strumenti informatici e telematici presenti in ufficio (4, su una scala di punteggio che va da 1 a 4), distinguere ed usare manuali, tariffari, cataloghi (4 con una scala che va da 1 a 5), porre domande pertinenti e far tesoro delle indicazioni ricevute (4, con una scala di punteggio che va da 1 a 4) e di possedere abilità comunicative (3, con una scala di punteggio cha parte da 1 e arriva a 4), totalizzando una votazione di 26/30, risultando così il migliore della classe. Sempre nell’ambito scolastico ho partecipato a vari stage come guida turistica o come servizio di accoglienza.
Ho fatto la scuola materna presso l’asilo “SANTA MARIA CROCIFISSA DI ROSA”, nel quartiere della mia città in cui abito. Le scuole elementari le ho fatte per pochi giorni presso la scuola privata “Pace”, in Via della Pace a Brescia, per poi trasferirmi alla “DANTE ALIGHIERI”, in Via Galileo Galilei, sempre nel quartiere dove io risiedo a Brescia. La scuola media l’ho fatto presso l’”UGO FOSCOLO”, in Via Galileo Galilei, 46, accanto alla mia scuola elementare. Per la formazione liceale ho frequentato l’”ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER I SERVIZI COMMERCIALI TURISTICI E DELLA PUBBLICITA’ E TECNICO CHIMICO-BIOLOGICO, CAMILLO GOLGI”, situato in Via Rodi 16 a Brescia. Per un anno ho fatto il rappresentante di Istituto e per 2 anni ho fatto il rappresentante di classe, portando avanti con dedizione le battaglie che c’erano per migliorare la mia scuola e per migliorare la qualità di vita degli studenti all’interno di essa. Sono uscito da tele istituto con una votazione di 91/100, con un diploma per guida turistica. Attualmente sono al secondo anno di Università nell’indirizzo di Beni Culturali, presso l’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA, dopo aver cambiato da Storia delle Civiltà, un anno fa.
Oltre alla lingua italiana (mia lingua madre), so parlare l’inglese e il francese.
Per cinque anni sono stato arbitro presso l’”ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI (AIA)” di Brescia, in Via verginella, 1, arrivando ad arbitrare gli Juniores interregionali.
Ottima la mia padronanza del computer in tutti i suoi livelli e in tutti i suoi programmi.
Sono membro del partito di Azione Giovani di Parma, dopo una lunga militanza in quello di Brescia.

Capo I
INDAGINE – INTRODUZIONE. L’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA

Capitolo 1 – Organizzazione dell’Università di Parma
Rettore
Rappresenta l’Università ad ogni effetto di legge e sovrintende a tutte le sue attività. Esercita funzioni di iniziativa, di coordinamento e di attuazione relative ai fini istituzionali dell’Ateneo. Viene eletto tra i professori di ruolo di prima fascia, che abbino optato o optino per il tempo pieno. Dura in carica quattro anni e non può essere rieletto consecutivamente per più di una volta.
Pro-Rettore
È un professore di ruolo di prima fascia, nominato dal Rettore, che lo supplisce in tutte le sue funzioni in caso di impedimento o di assenza.
Senato Accademico
È l’organo collegiale di governo, in materia di programmazione dello sviluppo dell’Ateneo e di coordinamento della didattica e della ricerca. È composto dal Rettore, dal Pro-Rettore, dai Presidi delle Facoltà, da sei Direttori di Dipartimento, da tre rappresentanti degli studenti. Alle adunanze partecipa il Direttore Amministrativo con voto consultivo e funzioni di segretario.
Consiglio di Amministrazione
È l’organo che, in coerenza con le scelte programmatiche operate dal Senato Accademico, delibera e sovrintende in materia di gestione amministrativa, finanziaria, economico-patrimoniale dell’Ateneo, fatti salvi i poteri di gestione attribuiti a singole strutture didattiche, di ricerca, di servizio. È composto dal Rettore, dal Pro-Rettore, dal Direttore Amministrativo, dai rappresentanti dei professori di I e II fascia, dai rappresentanti dei ricercatori, dal personale tecnico e amministrativo, dai rappresentanti degli studenti, dal Sindaco del Comune di Parma, dal Presidente della Provincia di Parma, dal Direttore Regionale delle Entrate, da un rappresentante del MURST, da un rappresentante della Regione Emilia Romagna.
Comitato per lo sporto universitario
È l’organo che coordina le attività sportive, sovrintende agli indirizzi di gestione degli impianti sportivi nonché ai programmi di sviluppo e promozione della attività sportive, esercita tutte le competenze previste dalla normativa vigente.
Consiglio degli Studenti
È l’organo di autonoma e coordinata partecipazione degli studenti all’organizzazione dell’Ateneo ed alle azioni per il raggiungimento dei fini istituzionali ed esercita funzioni di carattere propositivo e consultivo.
Facoltà
È la struttura preposta al coordinamento dell’attività didattica a tutti i livelli
Preside di Facoltà
Rappresenta la Facoltà, convoca e presiede il Consiglio di Facoltà e il Consiglio di Presidenza, ove costituito, e cura le esecuzioni delle delibere, ha la vigilanza sulle attività didattiche che fanno capo alla Facoltà, redige la relazione annuale sull’attività didattica della Facoltà ed esercita tutte le altre attribuzioni che gli sono demandate dallo Statuto, dagli altri atti normativi dell’Ateneo, dalle leggi.
Consiglio di Facoltà
È un organo collegiale che programma e coordina tutte le attività didattiche della Facoltà; esercita tutte le attribuzioni che gli sono demandate dalle norme vigenti, dallo Statuto e dal regolamento di Ateneo. È composto dal Preside, dai professori di ruoli e fuori ruolo, dai ricercatori e da rappresentanti degli studenti.
Dipartimento
È la struttura organizzativa di uno o più settori di ricerca omogenei per fini e/o per metodo. È organo di programmazione dell’attività scientifica nel rispetto dell’autonomia dei singoli docenti e del loro diritto ad accedere direttamente ai finanziamenti per la ricerca. Sono organi del Dipartimento il Direttore, il Consiglio e la Giunta. Ha autonomia finanziaria e amministrativa.

Capitolo 2 – Il sistema degli studi universitari
Crediti Formativi Universitari (CFU)
Il credito misura l’impegno richiesto per raggiungere determinati traguardi formativi. Un credito corrisponde a 25 ore d’impegno che comprendono le lezioni, le esercitazioni, eccetera ma anche lo studio a casa e gli stage presso enti o aziende.
Debiti Formativi
Con il diploma di scuola secondaria superiore è possibile iscriversi a qualunque corso di laurea, l’Università può verificare la preparazione di base dello studente in relazione al corso che ha scelto per consentirgli di proseguire gli studi. Questa verifica può evidenziare alcune lacune (espresse in debiti formativi) che lo studente dovrà recuperare nel primo anno, con apposite attività integrative organizzate dall’ateneo.
Laurea (L) o Titolo di I livello
La laurea di I livello si consegue dopo tre anni di studio e ha l’obiettivo di assicurare allo studente un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali. Per conseguire la Laurea occorre acquisire 180 CFU. I crediti necessari per completare un anno sono 60 per un totale di 1500 ore tra lezioni, studio individuale, laboratori, stage, esercitazioni.
Laurea Specialistica (LS) o Titolo di II livello
Dopo aver conseguito la laurea si potranno proseguire gli studi intraprendendo un corso biennale che consentirà di ottenere il titolo di laurea specialistica. Esso ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici. Per conseguire la laurea specialistica dovranno essere acquisiti 60 CFU annui che andranno a sommarsi ai 180 ottenuti con la laurea, per un totale di 300 crediti complessivi .
Laurea Specialistica a Ciclo Unico
I corsi di laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, Farmacia, Medicina Veterinaria, Odontoiatria e Protesi dentaria (della durata di 5 anni), Medicina e Chirurgia (della durata di 6 anni) sono corsi di laurea specialistica a ciclo unico: questo significa che non verrà rilasciato alcun titolo dopo il primo ciclo di studi, ma solo al completamento dell’intero percorso, con il conseguimento della Laurea Specialistica.
Laurea Magistrale
È attivo da quest’anno il nuovo corso di Laurea Magistrale in giurisprudenza, articolato in un anno base, seguito da un percorso unitario quadriennale (1+4). Lo studente potrà quindi, dopo il primo anno comune, scegliere se proseguire per altri due anni, conseguendo la laurea triennale (1+2) o scegliere il percorso di quattro anni e conseguire la laurea magistrale (1+4).
Master Universitario (I e II livello)
Dura un anno, rilascia un titolo universitario giuridicamente riconosciuto, quindi valido anche per i concorsi pubblici, e corrisponde a 60 crediti formativi universitari. Ai Master di I livello si può accedere sia dopo la Laurea sia dopo la Laurea Specialistica, mentre ai Master di II livello si può accedere solo dopo la Laurea Specialistica.
Scuole di Specializzazione
Sia i laureati di primo che di secondo livello potranno conseguire, al termine di questi corsi, un diploma di specializzazione che fornisce allo studente conoscenze e abilità specifiche per l’esercizio di alcune professioni. Ad esempio l’area medica, le professioni forensi, l’insegnamento nelle scuole secondarie superiori.
Dottorati di Ricerca
Sono corsi della durata di tre o quattro anni a cui si può accedere dopo la laurea specialistica e un esame di ammissione. Questi corsi forniscono competenze per poter esercitare attività di ricerca di alta qualificazione presso università, enti pubblici o soggetti privati. I corsi di dottorato sono specchio dell’attività di ricerca svolta da ogni singolo Ateneo: l’Università degli Studi di Parma partecipa a ben cinquanta corsi di dottorato.
Corsi di perfezionamento
Può avere durata variabile, rilascia un attestato che potrebbe anche non essere valutato ai fini di concorsi pubblici, e può corrispondere a un numero variabile di crediti.

Titoli universitari Durata del corso Crediti Obiettivi Requisiti di accesso
Laurea 3 anni 180 Conoscenza di base e professionalizzante Diploma quinquennale
Laurea Specialistica o a Ciclo Unico 5-6 anni 300-360 Conoscenza avanzata per attività in ambiti specifici Diploma quinquennale
Laurea Magistrale 1+4 anni 300 Conoscenza avanzata per attività in ambiti specifici Diploma quinquennale
Laurea Specialistica 2 anni 120 Conoscenza avanzata per attività in ambiti specifici Laurea
Dottorato di Ricerca 3-4 anni 60 per anno Alta formazione Laurea Specialistica
Master di I e II livello 1 anno 60 Alta professionalizzazione Laurea o Laurea Specialistica
Scuola di Specializzazione Variabile Variabile Conoscenza avanzata per attività in ambiti specifici Laurea o Laurea Specialistica
Capitolo 3 – Le Facoltà dell’Università di Parma
Facoltà di Agraria
Ø Presidenza: Parco Area delle Scienze, 49/A – Telefono 0521/905965-905966 – Fax 0521/906028 – e-mail: facagr@unipr.it
Ø Segreteria studenti: Parco Area delle Scienze, 23/A – Telefono 0521/905127-905108 – Fax 0521/906037
Ø Corsi di laurea in: Scienze e Tecnologie Alimentari – Classe 20
Ø Corsi di laurea interateneo: Scienze Gastronomiche – Classe 20
Ø Corsi di laurea specialistica: Scienze e Tecnologie Alimentari – Classe 78/S
Facoltà di Architettura
Ø Presidenza: Parco Area delle Scienze 181/A – Telefono 0521/905916 – Fax 0521/906511 – e-mail: presarch@unipr.it
Ø Segreteria studenti: Parco Area delle Scienze, 23/A – Telefono 0521/905113 – Fax 0521/905120
Ø Corsi di laurea: Scienze dell’Architettura – Classe 4; Tecniche dell’Edilizia – Classe 4
Ø Corsi di laurea specialistica: Architettura – Classe 4/S
Facoltà di Economia
Ø Presidenza: Via Kennedy, 6 – Telefono 0521/032453-0521/032455 – Fax 0521/032400
Ø Segreteria studenti: Via D’Azeglio, 85 – Telefono 0521/032377-378-179-209-214 – Fax 0521/032227
Ø Corsi di laurea: Economia Aziendale – Classe 17; Economia dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale – Classe 28; Economia e Finanza – Classe 17; Economia e Managemente – Classe 17; Marketing – Classe 17
Ø Corsi di laurea specialistica: Amministrazione e Direzione Aziendale – Classe 84/S; Finanza e Risk Management – Classe 84/S; Sviluppo locale, Cooperazione e Mercati internazionali – Classe 64/S; Trade marketing e Strategie commerciali – Classe 84/S
Facoltà di Farmacia
Ø Presidenza: Parco Area delle Scienze, 27/A – Telefono 0521/905000 – Fax 0521/905003
Ø Segreteria studenti: Parco Area delle Scienze, 23/A – Telefono 0521/905122 – Fax 0521/905120
Ø Corsi di laurea: Informazione scientifica sul farmaco – Classe 24; Scienze erboristiche e dei prodotti della salute – Classe 24
Ø Corsi di laurea a ciclo unico: Chimica e Tecnologia farmaceutiche – 5 anni – Classe 14/S; Farmacia – 5 anni – Classe 14/S
Facoltà di Giurisprudenza
Ø Presidenza: Via Università, 12 – Telefono 0521/034501 – Fax 0521/034502
Ø Segreteria studenti: Piazzale Barezzi, 3 – Telefono 0521/034056-034061 – Fax 0521/0340000
Ø Corsi di laurea: Servizio sociale – Classe 6
Ø Corso di laurea magistrale: Giurisprudenza – 1+4 anni – Classe LMG/1
Ø Corsi di laurea specialistica: Giurisprudenza – Classe 22/S; Programmazione e gestione dei Servizi Sociali – Classe 57/S
Facoltà di Ingegneria
Ø Presidenza: Parco Area delle Scienze, 69/A – Telefono 0521/905590-5591-5594 – Fax 0521/905595
Ø Segreteria studenti: Parco Area delle Scienze, 23 – Telefono 0521/905111 – Fax 0521/905120
Ø Corsi di laurea: Ingegneria Civile – Classe 8; Ingegneria delle Telecomunicazioni – Classe 9; Ingegneria Elettronica – Classe 9; Ingegneria Gestionale – Classe 10; Ingegneria Informatica – Classe 9; Ingegneria Informatica-didattica a distanza – Classe 9; Ingegneria Meccanica – Classe 10; Ingegneria Meccanica-didattica a distanza – Classe 10; Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio – Classe 8
Ø Corsi di laurea specialistica: Ingegneria Civile – Classe 28/S; Ingegneria delle Telecomunicazioni – Classe 30/S; Ingegneria Elettronica – Classe 32/S; Ingegneria Gestionale – Classe 34/S; Ingegneria Informatica – Classe 35/S; Ingegneria Meccanica – Classe 36/S; Ingegneria Meccanica dell’Industria Alimentare – Classe 36/S; Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio – Classe 38/S
Facoltà di Lettere e Filosofia
Ø Presidenza: Via D’Azeglio, 85 – Telefono 0521/032532-3-4 – Fax 0521/032513
Ø Segreteria studenti: Via D’Azeglio, 85 – Telefono 0521/034048-9 – Fax 0521/034060
Ø Corsi di laurea: Beni Artistici, Teatrali, Cinematografici e dei Nuovi Media – Classe 13; Civiltà e Lingue Straniere Moderne – Classe 11; Civiltà Letterarie e Storia delle Civiltà – Classe 5; Lingua e Cultura Italiana per Stranieri (telematico) – Classe 5; Scienze della Comunicazione Scritta e Ipertestuale – Classe 5; Scienze dell’Educazione e dei processi informativi – Classe 18; Studi Filosofici – Classe 29
Ø Corsi di laurea specialistica: Arti letterarie e musicali dal medioevo all’età contemporanea – Classe 16/S; Civiltà antiche e archeologia – Classe 15/S; Civiltà e lingue europee e euroamericane – Classe 42/S; Filosofia – Classe 18/S; Giornalismo e cultura editoriale – Classe 13/S; Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea – Classe 95/S
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Ø Presidenza: Viale Gramsci, 14 – Telefono 0521/290375 – Fax 0521/293646
Ø Segreteria studenti: Via Volturno, 39 – Telefono 0521/903701 – Fax 0521/903707
Ø Corsi di laurea: Scienze delle Attività Motorie – Classe 33
Ø Corsi di laurea specialistica a ciclo unico: Medicina e Chirurgia – 6 anni – Classe 46/S; Odontoiatria e Protesi dentaria – 5 anni – Classe 52/S
Ø Corsi di laurea delle professioni sanitarie: Fisioterapia – Classe 2; Infermieristica – Classe 1; Logopedia – Classe 2; Ortottica e Assistenza Oftalmologica – Classe 2; Ostetricia – Classe 1; Tecniche Audiometriche – Classe 3; Tecniche Audioprotesiche – Classe 3; Tecniche della Prevenzione nell’Ambiente e nei luoghi di lavoro – Classe 4; Tecniche di Laboratorio Biomedico – Classe 3; Tecniche di Radiologia Medica per Immagini e Radioterapia – Classe 3
Ø Corsi di laurea specialistica: Scienze Infermieristiche e Ostetriche – Classe SNT/S1
Facoltà di Medicina Veterinaria
Ø Presidenza: Via del Taglio – Telefono 0521/902601 – Fax 0521/902602
Ø Segret6eria studenti: Via del Taglio – Telefono 0521/902606 – Fax 0521/902605
Ø Corsi di laurea: Scienze e Tecniche Equine – Classe 40; Tecnologie delle Produzioni Animali e Sicurezza degli Alimenti – Classe 40
Ø Corsi di laurea specialistica a ciclo unico: Medicina Veterinaria – 5 anni – Classe 47/S
Facoltà di Psicologia
Ø Presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (Presidenza e Segreteria studenti)
Ø Corsi di laurea: Scienza del Comportamento e delle Relazioni Interpersonali e Sociali – Classe 34
Ø Corsi di laurea specialistica: Psicologia dello sviluppo: processi e contesti educativi, sociali e clinici – Classe 58/S
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Ø Presidenza: Via Università, 7 – Telefono 0521/034127-034129-034131 – Fax 0521/034132 – e-mail: scienze@unipr.it
Ø Segreteria studenti: Parco Area delle Scienze, 23/A – Telefono 0521/905116 – Fax 0521/905120
Ø Corsi di laurea: Biologia – Classe 12; Biologia Ecologica – Classe 12; Biotecnologie – Classe 1; Chimica industriale – Classe 21; Fisica – Classe 25 – Informatica – Classe 26; Matematica – Classe 32; Scienze e Tecnologie dei Materiali – Classe 25; Scienze e Tecnologia del Packaging – Classe 21; Scienze e Tecnologie Ambientali per il Territorio ed il Sistema Produttivo – Classe 27; Scienze e Tecnologie Chimiche – Classe 21; Scienze e Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali – Classe 41; Scienze Geologiche – Classe 16; Scienze Naturali – Classe 27
Ø Corsi di laurea specialistica: Biologia e applicazioni biomediche – Classe 6/S; Biologia molecolare – Classe 6/S; Biotecnologia industriale – Classe 8/S; Chimica – Classe 62/S – Conservazione della natura – Classe 68/S; Ecologia – Classe 6/S; Fisica dei Biosistemi – Classe 20/S; Fisica della Materia – Classe 20/S; Fisica Teorica – Classe 20/S; Matematica pura e applicata – Classe 45/S; Scienza e Tecnologia dei Materiali Innovativi – Classe 61/S; Scienze e Tecnologie della Chimica Industriale – Classe 81/S; Scienze e Tecnologie per l’ambiente e le risorse – Classe 82/S; Scienze geologiche – Classe 86/S; Scienze per i beni culturali – Classe 12/S
Facoltà di Scienze Politiche
Ø Presso la Facoltà di Economia (Presidenza e Segreteria studenti)
Ø Corsi di laurea: Scienze politiche (Aziende, Mercati, Istituzioni) – Classe 15
Ø Corsi di laurea specialistica: Studi Internazionali ed Europei – Classe 99/S
Corso di Studio Interfacoltà
Ø Corso di laurea specialistica: Biotecnologie per la salute (Medicina e Chirurgia, Farmacia, Medicina Veterinaria) – Classe 9/S
Scuole di specializzazione presso l’Università di Parma
http://www.unipr.it/www.php?info=Studenti&tipo=scuolespec_el
Dottorati di ricerca attivati
http://www.unipr.it/www.php?info=Studenti&tipo=dottorati21

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA
Via Università, 12
Telefono 0521/032111
Fax 0521/034357
www.unipr.it
N° verde 800 904084
uniparma@unipr.it

Capitolo 4 – Università e studenti: comunicazione
Ø Appost@perte. Dal 2003 è attivo il servizio Appost@perte: l’Università vi assegna un indirizzo di posta elettronica nome.cognome@studenti.unipr.it, per essere sempre in contatto con voi, ovunque siate, per darvi informazioni tempestive e precise, in modo veloce e gratuito. Usarle è semplicissimo, basta entrare nel sito dell’Università, ciccare sulla voce “Apposta per te” e inserire nick name e password che avete ricevuto al momento dell’iscrizione. Se si ha già un proprio indirizzo di posta elettronica lo si può continuare ad usare. Per farlo, basta cliccare su “Redirezione” e seguire le istruzioni. Inoltre, la vostra casella di posta elettronica rimarrà attiva per un paio d’anni dopo la laurea.
Ø 6di FUORI? – Servizio per gli studenti fuori sede. “6diFUORI?” è un’iniziativa dell’Università rivolta agli studenti provenienti da fuori provincia (18.000 su 30.000 iscritti). Si tratta di una serie di servizi di informazione e di ascolto, tra cui: una nuova sezione del sito unipr.it, un forum per favorire la conoscenza degli studenti e una newsletter on-line periodica. L’obiettivo è quello di permettere agli studenti una rapida conoscenza dell’Università di Parma e della città, favorendo così un facile inserimento nella vita universitari di Parma.


Capo I
INDAGINE – ALCUNI DATI STATISTICI

Per i dati statistici vedere Tabelle di Microsoft Excel allegate.
Ø 723 (Studenti stranieri immatricolati)
Ø 723 (Studenti immatricolati ai corsi di laurea)
Ø 723 (Studenti immatricolati ai corsi di diploma universitario)
Ø 723 (Studenti immatricolati ai corsi di laurea anno accademico 1999/2000)
Ø 723 (Studenti immatricolati ai corsi di diploma universitario anno accademico 1999/2000)
Ø 724 (Grafico corsi di laurea anno accademico 1999/2000)
Ø 724 (Grafico corsi di laurea anno accademico 1999/2000)
Ø 725 (Immatricolazioni studenti stranieri nei corsi di laurea anno accademico 1999/2000)
Ø 725 (Aree geografiche comunitarie ed extracomunitarie presenti nei corsi di laurea anno accademico 1999/2000 elencate in ordine decrescente)
Ø 726 – Provenienza studenti
Ø 726 (Albania)
Ø 726 (Afghanistan – Algeria)
Ø 726 (Angola – Arabia Saudita)
Ø 726 (Argentina – Australia)
Ø 726 (Austria – Arzebaigian)
Ø 726 (Belgio – Biellorussia)
Ø 726 (Bolivia – Bosnia)
Ø 726 (Brasile)
Ø 726 (Bulgaria)
Ø 726 (Burchina Faso – Burundi)
Ø 726 (Camerun)
Ø 726 (Canada – Capoverde)
Ø 726 (Ciad – Cile)
Ø 726 (Cina – Cipro)
Ø 726 (Colombia)
Ø 726 (Congo – Corea)
Ø 726 (Costa d’Avorio – Costa Rica)
Ø 726 (Croazia)
Ø 726 (Cuba – Danimarca)
Ø 726 (Ecuador – Egitto)
Ø 726 (El Salvador – Eritrea)
Ø 726 (Estonia – Etiopia)
Ø 726 (Filippine – Finlandia)
Ø 726 (Francia)
Ø 726 (Germania)
Ø 726 (Georgia)
Ø 726 (Giappone – Giordania)
Ø 726 (Grecia)
Ø 726 (Guatemala – Haiti)
Ø 726 (Kazakistan – Kenya)
Ø 726 (Kuwait – India)
Ø 726 (Indonesia – Iran)
Ø 726 (Iraq – Irlanda – Islanda)
Ø 726 (Israele)
Ø 726 (Jugoslavia)
Ø 726 (Libano)
Ø 726 (Lituania – Lussemburgo)
Ø 726 (Macedonia – Madagascar)
Ø 726 (Malaysia – Malta)
Ø 726 (Marocco – Mauritania)
Ø 726 (Messico – Moldavia – Monzambico)
Ø 726 (Nigeria – Norvegia)
Ø 726 (Nuova Guinea – Nuova Zelanda)
Ø 726 (Olanda – Pakistan)
Ø 726 (Palestina – Panama)
Ø 726 (Paraguay – Perù)
Ø 726 (Polonia)
Ø 726 (Portogallo – Principato di Monaco)
Ø 726 (Regno Unito)
Ø 726 (Repubblica del Benin – Repubblica Ceca)
Ø 726 (Repubblica Dominicana – Repubblica di San Marino)
Ø 726 (Romania)
Ø 726 (Ruanda – Russia)
Ø 726 (Senegal – Serra Leone – Siria)
Ø 726 (Slovenia – Slovacchia)
Ø 726 (Somalia – Spagna)
Ø 726 (Sri Lanka – Stati Uniti)
Ø 726 (Sud Africa – Sudan)
Ø 726 (Svezia)
Ø 726 (Svizzera)
Ø 726 (Taiwan – Thailandia)
Ø 726 (Tunisia)
Ø 726 (Turchia – Tuvalu)
Ø 726 (Ucraina)
Ø 726 (Uganda – Ungheria)
Ø 726 (Uruguay – Venezuela – Vietnam)
Ø 726 (Yemen – Zaire)
Ø 727 (Rappresentazione grafica in ordine di preferenza dei corsi di laurea scelti nell’anno accademico 1999/2000 degli studenti comunitari ed exstracomunitari)
Ø 728 (Corsi di laurea in ordine di preferenza)
Ø 728 (Diplomi universitari in ordine di preferenza)
Ø 729 (Corsi di diploma universitario anno accademico 1999/2000)
Ø 729 (Corsi di diploma universitario anno accademico 1999/2000 – tabella 2)
Ø 730 (Immatricolazioni di studenti stranieri nei diplomi universitari anno accademico 1999/2000)
Ø 730 (Aree geografiche comunitarie ed extracomunitarie presenti nei diplomi universitari anno accademico 1999/2000, elencate in ordine)








Capo I
INDAGINE – LA LEGISLTURA UNIVERSITARIA. BREVE PANORAMA DA GENTILE ALLA FINANZIARIA DEL GOVERNO PRODI 2007-2011

TITOLI DI STUDIO ESTERI VALIDI PER L’ACCESSO ALLE UNIVERSITA’
1. TITOLI CONSEGUITI AL TERMINE DI UN PERIODO SCOLASTICO DI ALMENO 12 ANNI
Tali titoli sono validi per l'accesso ai corsi di laurea triennali ed ai corsi di laurea specialistica a ciclo unico presso le Università italiane purché consentano l’accesso ad un corso analogo a quello che viene richiesto in Italia presso le Università del Paese al cui ordinamento si riferiscono.
Nel computo dei dodici anni va considerato, ove ricorra, l'anno prescolare a condizione che:
- la frequenza di tale anno sia obbligatoria e parte integrante del curriculum;
- il programma preveda l'insegnamento della lettura e della scrittura della lingua materna e i primi elementi del calcolo aritmetico.
2. TITOLI CONSEGUITI AL TERMINE DI UN PERIODO SCOLASTICO INFERIORE AI 12 ANNI
Gli studenti dovranno presentare, oltre al diploma originale degli studi secondari, anche la certificazione accademica attestante il superamento di tutti gli esami previsti:
- per il primo anno di studi universitari, nel caso di sistema scolastico locale di undici anni;
- per i primi due anni accademici, nel caso di sistema scolastico locale di dieci anni.
Tale certificazione accademica complementare a titoli di scuola secondaria conseguiti con meno di dodici anni di scolarità consente in Italia solo l'immatricolazione al primo anno accademico e l'iscrizione con abbreviazione di corso solo nel caso in cui la durata della frequenza universitaria sia superiore al periodo utile ad integrare il percorso scolastico mancante.
N.B.: Il titolo finale di studi post-secondari conseguito in un Istituto superiore non universitario può essere accettato quale titolo integrativo del percorso scolastico inferiore ai 12 anni.
3. TITOLI RILASCIATI DA ISTITUTI UNIVERSITARI DI STUDI ECCLESIASTICI CON SEDE IN ITALIA APPROVATI DALLA SANTA SEDE
Tali titoli dovranno essere vidimati soltanto dalle competenti autorità ecclesiastiche e debitamente legalizzati dalla Prefettura di Roma (Ufficio Bollo). I candidati in possesso dei titoli così vidimati e legalizzati, presentano all’Università o alla Rappresentanza competente solo la fotocopia del titolo medesimo e producono l'originale dopo le prove di ammissione, al momento dell'eventuale effettiva iscrizione.
4. TITOLO STATUNITENSE DI HIGH SCHOOL
Ai fini dell'immatricolazione al primo anno accademico, tale titolo deve essere seguito e integrato: da due anni completi del corso ulteriore di "College" e dalla conseguita idoneità per il passaggio al terzo anno, ovvero da un anno completo del corso ulteriore di “College” con la conseguita idoneità per il passaggio al secondo anno ed il superamento di quattro “Advanced Placements statunitensi” (APs) , in materie diverse attinenti al corso di studio universitario richiesto. Se uno degli “Aps” è in italiano è da ritenersi valido per tutti i corsi accademici.
Per iscriversi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia è necessario:
a) essere in possesso del diploma di "Bachelor of Arts" oppure "Bachelor of Science";
b) aver studiato durante il corso quadriennale di un "College" determinate materie propedeutiche (pre-medical);
c) aver conseguito le votazioni richieste per l'ammissione alle "medical schools" statunitensi.
L'Institute of International Education di New York è abilitato a rilasciare la indispensabile dichiarazione di ammissione di cui sopra.
5. TITOLI BRITANNICI
Tali titoli consentono l'immatricolazione se attestano almeno sei promozioni in materie diverse, di cui almeno tre a livello avanzato (A level) attinenti al corso di laurea o di diploma universitario richiesto ("course requirements"). Se una promozione a livello avanzato è in "italiano", la medesima è valida per tutti i corsi accademici.
6. TITOLI GRECI – “APOLITYRION”
Tali titoli consentono l’immatricolazione soltanto se conseguiti a partire dalla votazione media minima sufficiente di punti 10 su 20.
I candidati devono aver conseguito anche l’attestato di idoneità accademica denominato “VEVEOSSI PROSVASSIS”.
Ne sono esonerati solo ed esclusivamente coloro che risultino aver conseguito l’”Apolityrion prima
del 1999 e documentino di essere stati residenti in Italia durante il triennio 1999/2001, coincidente con il periodo transitorio fissato dalla recente normativa greca per conseguire, in via di sanatoria, il predetto attestato.

LA RIFORMA GENTILE

Giovanni Gentile, nato a Castelvetrano ( Trapani) nel 1875 è senza ombra di dubbio una delle figure più eminenti della cultura italiana del nostro secolo.
A lui si devono l' elaborazione del pensiero filosofico detto " attualismo", e al suo nome vanno riportate opere pubbliche quali la riforma scolastica del 1923, come ministro della pubblica istruzione, la Enciclopedia Italiana ( tra il 1929 e il 1937) e la direzione della Università Normale di Pisa, una delle più prestigiose dell' epoca. E sono tanti gli uomini di cultura italiani che, pur non riconoscendosi nelle teorie di Gentile ne riconoscono la grandezza morale e culturale, basta ricordare tra questi M. Cacciari, ex sindaco di Venezia, che ha affermato: ( GENTILE E' SENZA DUBBIO IL PIU' IMPORTANTE FILOSOFO DI QUESTO SECOLO); ancora il Pof. Kristeller, ebreo tedesco che Gentile salvò dai nazzisti, disse in relazione al suo assassino: (HANNO UCCISO L' ESPRESSIONE PIU' PURA E DISINTERESSATA DI UNA NAZIONE, L' AMORE PER IL SAPERE E LA CIVILTA'. HANNO SPARATO ALL' INTELLIGENZA).

Particolarmente importanti sono le teorie pedagogiche di Gentile, teorie che trovano applicazione nella politica scolastica italiana durante la sua breve parentesi quale ministro della Pubblica Istruzione.
Naturalmente, ogni tipo di scuola riflette la società nella quale essa è costruita: così, da una società ben strutturata e ben funzionante avrà luogo nella scuola altrettanto efficiente, adeguata ai principi etici, politici ed economici dello stato; viceversa in una società dove gli interessi della Nazione sono soffocati dell' egoismo del potere, là non può esserci una Scuola che svolga liberamente la sua funzione educatrice.
La principale novità dei pensiero gentiliano in materia pedagogica è nel rapporto che si instaura tra docente e studente: (NON C' E' SAPERE CHE INSEGNI L' ARTE DI FARE SCUOLA), secondo uno spirito improntato alla novità, al processo spontaneo , che non vuole limiti e che non può essere fissato da leggi troppo restrittive.
La riforma Gentile fu attuata nel 1923 nella concezione della scuola come elemento di base per la formazione sociale dell' individuo; essa aveva come principio, appunto la libertà nell' insegnamento, ma al tempo stesso una maggiore disciplina e responsabilità da parte di insegnanti e studenti. Tale riforma prevedeva un tipo di istruzione più immediato e formativo rispetto all' istruzione di stampo tradizionale, consentendo che avvenisse un maggiore contatto della scuola classica con la vita moderna.
Vediamo alcuni punti di grande attualità della Riforma Gentile.
Uno dei caratteri principali è che le scuole sono strutturate su base umanistica, secondo la tradizione Classica italiana: questo al fine di affermare una nostra cultura ed educazione che può preparare al meglio ad un confronto critico e costruttivo, in contrasto con la tendenza- tuttora in auge- verso sperimentazioni estranee alla nostra tradizione e cultura, col rischio- o scopo prefissato- di perdere la nostra identità di popolo a favore di strutture mentali e sociali distanti dalle nostre esigenze.
Un altro punto fondamentale della riforma riguarda il riordinamento dell' istruzione superiore secondo i principi dell' autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, e della libertà d' insegnamento. Questo principio si concretizza con una serie di interventi sul numero e sulla qualità del corpo insegnante, con una limitazione dell' istituto della supplenza e dei trasferimenti, al fine di garantire una maggiore stabilità dei docenti, una maggiore preparazione didattica dei professori; l' attribuzione di maggiori compiti di responsabilità da condividere con il collegio dei professori, con una rappresentanza qualificata degli studenti e delle famiglie.
L' autorità del preside non è più limitata alle funzioni amministrative e disciplinari , ma viene estesa al potere di attuazione del suo programma scolastico e ad una quasi totale libertà ed autonomia nei confronti del Governo.
L' autonomia e libertà del docente nell' organizzare il lavoro nelle sue classi, trova limitazioni "soltanto" nel programma d' esame, l' unico completamente definito e vincolante, mentre si concretizza nel diritto di scegliere i libri di testo , di distribuire ore e temi di lezione, di prendere iniziative finalizzate al buon funzionamento dell' istituto.
Con la riforma Gentile vengono inoltre istituiti gli esami a conclusione di ogni ciclo di studi, tali esami, di importanza fondamentale, si differenziano a seconda dell' ordine che concludendo e sono il mezzo più sicuro di controllo delle istituzioni scolastiche, siano esse pubbliche o private.
Si possono facilmente individuare, tra i principi fondamentali della riforma Gentile, diversi punti di contatto con quanto richiesto attualmente dagli studenti alle nostre istituzioni e , prima ancora dai giovani studenti negli anni della contestazione ovvero trent' anni fa.
E' la crisi della società contemporanea che ha perso il contatto con i valori umani, che non sa più garantire l' educazione al suo popolo: è da qui che nasce la crisi del sistema Scuola
Il giovane da solo non può cambiare la scuola senza prima aver cambiato la società della quale essa è naturale conseguenza e prodotto. Può e deve tentare di trasformare la società affinché cambiamo i suoi istituti fondamentali, tra cui appunto la scuola.

COSTITUZIONE

Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.
Articolo 33
L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve
assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello
degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione
di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti
autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Articolo 34
La scuola è aperta a tutti.
L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
DECRETO LEGISLATIVO 15 APRILE 2005, NUMERO 76
“DEFINIZIONE DELLE NORME GENERALI SUL DIRITTO-DOVERE ALL’ISTRUZIONE E ALLA FORMAZIONE, A NORMA DELL’ARTICOLO 2, COMMA 1, LETTERA C), DELLA LEGGE 28 MARZO 2003, NUMERO 53”
PUBBLICATO NELLA GAZETTA UFFICIALE NUMERO 103 DEL 5 MAGGIO 2005

Articolo 3 - Sistema nazionale delle anagrafi degli studenti
Con apposito accordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in sede di Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e' assicurata l'integrazione delle anagrafi di cui ai commi 1, 2 e 3 nel Sistema nazionale delle anagrafi degli studenti. Ai predetti fini si provvede a:
Ø definire gli standard tecnici per lo scambio dei flussi informativi;
Ø assicurare l'interoperabilità delle anagrafi;
Ø definire l'insieme delle informazioni che permettano la tracciabilità dei percorsi scolastici e formativi dei singoli studenti.
Articolo 4 - Azioni per il successo formativo e la prevenzione degli abbandoni
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adotta, previa intesa con la Conferenza unificata a norma del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, linee guida per la realizzazione di piani di intervento per l'orientamento, la prevenzione ed il recupero degli abbandoni, al fine di assicurare la piena realizzazione del diritto-dovere all'istruzione ed alla formazione, nel rispetto delle competenze attribuite alla regione e agli enti locali per tali attività e per la programmazione dei servizi scolastici e formativi.
Articolo 7 - Monitoraggio
Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avvalendosi dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL), dell'Istituto nazionale di documentazione per l'innovazione e la ricerca educativa (INDIRE) e dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) effettuano annualmente il monitoraggio sullo stato di attuazione del presente decreto e, a partire dall'anno successivo a quello della sua entrata in vigore, comunicandone i risultati alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Articolo 9 - Norma di copertura finanziaria
All'onere derivante dall'articolo 6, comma 1, pari a 11.888.000 euro per l'anno 2005 ed a 15.815.000 euro a decorrere dall'anno 2006, si provvede con quota parte della spesa autorizzata dall'articolo 3, comma 92, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, come rifinanziato dall'articolo 1, comma 130, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

DECRETO LEGISLATIVO 15 APRILE 2005, NUMERO 77
“DEFINIZIONE DELLE NORME GENERALI RELATIVE ALL’ALTERNANZA SCUOLA – LAVORO, A NORMA DELL’ARTICOLO 4 DELLA LEGGE 28 MARZO 2003, NUMERO 53”
PUBBLICATO NELLA GAZZETTA UFFICIALE NUMERO 103 DEL 5 MAGGIO 2005

Articolo 3 - Realizzazione dei percorsi in alternanza
Ai fini dello sviluppo, nelle diverse realtà territoriali, dei percorsi di cui all'articolo 1 che rispondano a criteri di qualità sotto il profilo educativo ed ai fini del monitoraggio e della valutazione dell'alternanza scuola lavoro, nonché ai fini di cui al comma 3, e' istituito, a livello nazionale, il Comitato per il monitoraggio e la valutazione dell'alternanza scuola-lavoro, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delle attività produttive, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 28l. Il Comitato e' istituito assicurando la rappresentanza dei soggetti istituzionali interessati, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e delle rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro. Per la valutazione dei percorsi il Comitato si coordina con l'Istituto nazionale di valutazione del sistema dell'istruzione (INVALSI), di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 286.
Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sulla base delle indicazioni del comitato di cui al comma 2, sono definiti:
Ø i criteri generali cui le convenzioni devono fare riferimento;
Ø le risorse finanziarie annualmente assegnate alla realizzazione dell'alternanza ed i criteri e le modalità di ripartizione delle stesse, al fine di contenere la spesa entro i limiti delle risorse disponibili;
Ø i requisiti che i soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, devono possedere per contribuire a realizzare i percorsi in alternanza, con particolare riferimento all'osservanza delle norme vigenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e di ambiente ed all'apporto formativo nei confronti degli studenti ed al livello di innovazione dei processi produttivi e dei prodotti;
Ø le modalità per promuovere a livello nazionale il confronto fra le diverse esperienze territoriali e per assicurare il perseguimento delle finalità di cui al comma 2;
Ø il modello di certificazione per la spendibilità a livello nazionale delle competenze e per il riconoscimento dei crediti di cui all'articolo 6.
Articolo 6 - Valutazione, certificazione e riconoscimento dei crediti
I percorsi in alternanza sono oggetto di verifica e valutazione da parte dell'istituzione scolastica o formativa.
Fermo restando quanto previsto all'articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53, e dalle norme vigenti in materia, l'istituzione scolastica o formativa, tenuto conto delle indicazioni fornite dal tutor formativo esterno, valuta gli apprendimenti degli studenti in alternanza e certifica, sulla base del modello di cui all'articolo 3, comma 3, lettera e), le competenze da essi acquisite, che costituiscono crediti, sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico o formativo per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi, ivi compresa l'eventuale transizione nei percorsi di apprendistato.
Le istituzioni scolastiche o formative rilasciano, a conclusione dei percorsi in alternanza, in aggiunta alla certificazione prevista dall'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 53 del 2003, una certificazione relativa alle competenze acquisite nei periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.
Articolo 9 - Risorse
All'onere derivante dall'attuazione degli interventi del presente decreto nel sistema dell'istruzione, nel limite massimo di 10 milioni di euro per l'anno 2005 e di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006, si provvede a valere sull'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 4 della legge 18 dicembre 1997, n. 440, come determinata dalla tabella C, allegata alla legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Nell'ambito delle risorse di cui al comma 1, per il funzionamento del Comitato per il monitoraggio e la valutazione dell'alternanza scuola-lavoro di cui all'articolo 3, comma 2, e' autorizzata la spesa annua di 15.500 euro.
Per la realizzazione degli interventi di cui al presente decreto nel sistema dell'istruzione e formazione professionale concorrono, nella percentuale stabilita nella programmazione regionale, le risorse destinate ai percorsi di formazione professionale a valere sugli stanziamenti previsti dall'articolo 68, comma 4, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni.

LA RIFORMA MORATTI

Articolo 1 - Delega in materia di norme generali sull’istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale
Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo è delegato ad emanare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di Comuni e Province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche,uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.
Fatto salvo quanto specificamente previsto dall’articolo 4, i decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle competenti Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi; decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. I decreti legislativi in materia di istruzione e formazione professionale sono emanati previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
Per la realizzazione delle finalità della presente legge, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca predispone, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge medesima, un piano programmatico di interventi finanziari, da sottoporre all’approvazione del Consiglio dei Ministri, sentita previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a sostegno:
a) della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo dell’autonomia;
b) dell’istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico;
c) dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche;
d) della valorizzazione professionale del personale docente;
e) delle iniziative di formazione iniziale e continua del personale;
f) del rimborso delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti;
g) della valorizzazione professionale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (A.T.A.);
h) degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto - dovere di istruzione e formazione;
i) degli interventi per lo sviluppo dell’istruzione e formazione tecnica superiore e per l’educazione degli adulti;
l) degli interventi di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica.
Ulteriori disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi di cui al presente articolo e all’articolo 4 e 5, possono essere adottate, con il rispetto dei medesimi criteri e principi direttivi e con le stesse procedure, entro 18 mesi dalla data della loro entrata in vigore.
Articolo 2 - Sistema educativo di istruzione e di formazione
I decreti di cui all’articolo 1 definiscono il sistema educativo di istruzione e di formazione, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea;
b) sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea;
c) è assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l'attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e di formazione, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione e mediante i regolamenti di cui all'articolo 17, comma 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400 e successive modificazioni, e garantendo l'integrazione delle persone in situazione di handicap a norma della legge 5 febbraio, n. 104 e successive modificazioni. La fruizione dell'offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti di diritto all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l’obbligo scolastico di cui all’articolo 34 della Costituzione, nonché l’obbligo formativo introdotto dall'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144. L’attuazione graduale del diritto-dovere predetto è rimessa ai decreti legislativi di cui all’articolo 1, correlativamente agli interventi finanziari previsti a tal fine dal piano programmatico di cui all’articolo 1, comma 3, adottato previa intesa con la Conferenza unificata, e coerentemente con i finanziamenti disposti a norma dell’articolo 7, comma 6;
d) il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale;
e) la scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria. E’ assicurata la generalizzazione dell'offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell’infanzia; alla scuola dell’infanzia possono iscriversi le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all’introduzione di nuove professionalità e modalità organizzative;
f) il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria, della durata di 5 anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di 3 anni. Ferma restando la specificità di ciascuna di esse, la scuola primaria è articolata in un primo anno, teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali; la scuola secondaria di primo grado si articola in un biennio e in un terzo anno che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed assicura l'orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo; nel primo ciclo è assicurato altresì il raccordo con la scuola dell’infanzia e con il secondo ciclo; è previsto che alla scuola primaria si iscrivano le bambine e i bambini che compiono i 6 anni di età entro il 31 agosto; possono iscriversi anche le bambine e i bambini che li compiono entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento; la scuola primaria promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base fino alle prime sistemazioni logico critiche, di fare apprendere i mezzi espressivi, ivi inclusa l’alfabetizzazione in almeno una lingua dell’Unione Europea oltre alla lingua italiana, e l’alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche, di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile; la scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio ed al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale; organizza ed accresce le conoscenze e le abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’allievo; cura la dimensione sistematica delle discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi, fornendo strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione Europea e cura l’approfondimento nelle tecnologie informatiche; il primo ciclo di istruzione si conclude con un esame di Stato, dal quale deve emergere anche un’indicazione orientativa non vincolante per la successiva scelta di istruzione e di formazione, ed il cui superamento costituisce titolo di accesso al sistema dei licei e al sistema dell’istruzione e della formazione professionale;
g) il secondo ciclo, finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l'agire, e la riflessione critica su di essi, è finalizzato a sviluppare l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità personale e sociale; in tale ambito, viene curato lo sviluppo delle conoscenze relative all’uso delle tecnologie informatiche e delle reti; il secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell’istruzione e della formazione professionale; dal compimento del quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono conseguire in alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato; il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale, scientifico, tecnologico, delle scienze umane; i licei artistico, economico e tecnologico si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni formativi; i licei hanno durata quinquennale; l’attività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno che prioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede altresì l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi; i licei si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l’accesso all’università e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, e dà accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore;
h) ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione professionale, i percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione di cui alla lettera c); le modalità di accertamento di tale rispondenza, anche ai fini della spendibilità dei predetti titoli e delle qualifiche nell’Unione Europea, sono definite con il regolamento di cui all’articolo 7, comma 1, lett. c); i titoli e le qualifiche costituiscono condizione per l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144; i titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professionale di durata almeno quadriennale consentono di sostenere l’esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all’università e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di apposito corso annuale, realizzato d’intesa con le università, e ferma restando la possibilità di sostenere, come privatista, l’esame di Stato anche senza tale frequenza;
i) è aperta assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all’interno del sistema dei licei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell’istruzione e della formazione professionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta; la frequenza positiva di qualsiasi segmento del secondo ciclo comporta l'acquisizione di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui alle lettere g) e h); nel secondo ciclo, esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realizzati in Italia o all'estero anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi, sono riconosciuti con specifiche certificazioni di competenza rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative; i licei e le istituzioni formative del sistema dell’istruzione e della formazione professionale, d’intesa rispettivamente con le università, con le istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e con il sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore, stabiliscono, con riferimento all’ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità richieste per l’accesso ai corsi di studio universitari, dell’alta formazione, ed ai percorsi dell’istruzione e formazione tecnica superiore;
l) i piani di studio, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, contengono un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale, che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale, e prevedono una quota, riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali.
Articolo 3 - Valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo di istruzione e di formazione
Con i decreti di cui all’articolo 1 sono dettate le norme generali sulla valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli allievi, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamento degli allievi del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la certificazione delle competenze da essi acquisite, sono affidate ai docenti delle istituzioni di istruzione e formazione frequentate; agli stessi docenti è affidata la valutazione dei periodi didattici ai fini del passaggio al periodo successivo;
b) ai fini del progressivo miglioramento della qualità del sistema di istruzione e di formazione, l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli allievi e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative; in funzione dei predetti compiti vengono rideterminate le funzioni e la struttura del predetto istituto;
c) l’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione considera e valuta le competenze acquisite dagli allievi nel corso del ciclo e si svolge su prove organizzate dalle commissioni d’esame e su prove predisposte e gestite dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione, sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento del corso ed in relazione alle discipline di insegnamento dell’ultimo anno.
Articolo 4 - Alternanza scuola lavoro
Fermo restando quanto previsto dall'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di assicurare agli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età la possibilità di realizzare i corsi del secondo ciclo in alternanza scuola-lavoro, come modalità di realizzazione del percorso formativo progettata, attuata e valutata dall’istituzione scolastica e formativa in collaborazione con le imprese, che assicuri ai giovani, oltre alla conoscenza di base, l’acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro, si provvede con apposito decreto legislativo, da emanare di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro delle attività produttive, d’intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il termine di un anno 24 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e con le modalità di cui all'articolo 1, comma 2, sentite le associazioni comparativamente rappresentative dei datori di lavoro, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 anni, attraverso l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di convenzioni con imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con enti pubblici e privati ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro;
b) fornire indicazioni generali per il reperimento e l’assegnazione delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei percorsi di alternanza, ivi compresi gli incentivi per le imprese e l’assistenza tutoriale;
c) indicare le modalità di certificazione dell’esito positivo del tirocinio e di valutazione dei crediti formativi acquisiti dallo studente.
Articolo 5 - Formazione degli insegnanti
Con i decreti di cui all’articolo 1 sono dettate norme sulla formazione iniziale dei docenti della scuola dell’infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) la formazione iniziale è di pari dignità e durata per tutti i docenti e si svolge nelle università presso i corsi di laurea specialistica, il cui accesso è programmato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 2 agosto 1999, n. 264. La programmazione degli accessi ai corsi stessi è determinata ai sensi dell’articolo 3 della medesima legge, sulla base dei posti effettivamente disponibili in ogni regione nei ruoli organici delle istituzioni scolastiche;
b) con uno o più decreti, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 95 della legge 15 maggio 1997, n. 127, anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 10, comma 2 e all’articolo 6, comma 4 del decreto ministeriale 3 novembre 1999 n. 509, sono individuate le classi dei corsi di laurea specialistica, anche interfacoltà o interuniversitari, finalizzati anche alla formazione degli insegnanti di cui alla lettera a). I decreti stessi disciplinano le attività didattiche attinenti l’integrazione scolastica degli alunni in condizione di handicap; la formazione iniziale dei docenti può prevedere stage all’estero;
c) l’accesso ai corsi di laurea specialistica per la formazione degli insegnanti è subordinato al possesso dei requisiti minimi curricolari, individuati per ciascuna classe di abilitazione nel decreto di cui alla lettera b) e all’adeguatezza della personale preparazione dei candidati, verificata dagli Atenei;
d) l’esame finale per il conseguimento della laurea specialistica di cui alla lettera a) ha valore abilitante per uno o più insegnamenti individuati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
e) coloro che hanno conseguito la laurea specialistica di cui alla lettera a), ai fini dell’accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche, svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio. A tal fine e per la gestione dei corsi di cui alla lettera a), le università definiscono nei regolamenti didattici di ateneo l’istituzione e l’organizzazione di un’apposita struttura di ateneo per la formazione degli insegnanti, cui sono affidati, sulla base di convenzioni, anche i rapporti con le istituzioni scolastiche;
f) le strutture di cui alla lettera e) curano anche la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative.
Articolo 6 - Regioni a statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano
Sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, in conformità ai rispettivi statuti e relative norme di attuazione nonché alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Articolo 7 - Disposizioni finali e attuative
Mediante uno o più regolamenti da adottare a norma dell’articolo 117 sesto comma della Costituzione e dell’articolo 17 comma 2 della legge 23 agosto 1988 n. 400, sentite la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede:
a) alla individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell’organizzazione delle discipline,
b) alla determinazione delle modalità di valutazione dei crediti scolastici;
c) alla definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici.
Le norme regolamentari di cui al comma 1, lettera c), sono definite previa intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni di cui al decreto legislativo n. 281 del 1997.
Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca presenta ogni tre anni al Parlamento una relazione sul sistema educativo di istruzione e di formazione professionale.
Dall'anno scolastico 2002/2003 possono iscriversi,compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei Comuni, secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità,al primo anno della scuola dell’infanzia i bambini che compiono i 3 anni di età entro il 28 febbraio 2003. Possono iscriversi al primo anno della scuola primaria i bambini e le bambine che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2003. Le ulteriori anticipazioni, fino alla data del 30 aprile di cui all’articolo 2, comma 1, lettere e) ed f), sono previste dai decreti legislativi di cui all’articolo 1, sulla base delle risultanze emerse dall’applicazione della presente legge.
Agli oneri derivanti dall’applicazione dell’articolo 2, comma 1, lettera f) e dal comma 4 del presente articolo, limitatamente alla scuola primaria statale, valutati in 12.731 migliaia di euro per l’anno 2002, 45.829 migliaia di euro per l’anno 2003 e in 66.198 migliaia di euro a decorrere dall’anno 2004, si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio triennale 2002-2004, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2002, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
All’attuazione del piano programmatico di cui all’articolo 1, comma 3, si provvede, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria, in coerenza con quanto previsto dal documento di programmazione economica e finanziaria.
I decreti legislativi attuativi della presente legge, che comportano oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, hanno attuazione coerentemente con i finanziamenti disposti a norma del comma 5.
Con periodicità annuale il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca ed il Ministero dell’economia e delle finanze procedono alla verifica degli oneri effettivamente sostenuti, in relazione alla graduale attuazione della riforma, a fronte delle somme stanziate annualmente in bilancio per lo stesso fine. Le eventuali maggiori spese dovranno trovare copertura ai sensi dell’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.
La legge 10 febbraio 2000, n. 30 è abrogata.

LA RIFORMA BERLINGUER
LEGGE 10 FEBBRAIO 2000 NUMERO 30
LEGGE-QUADRO IN MATERIA DI RIORDINO DEI CICLI DELL’ISTRUZIONE
PUBBLICATA NELLA GAZZETTA UFFICIALE DEL 23 FEBBRAIO 2000 NUMERO 44

Articolo 1. Sistema educativo di istruzione e di formazione.
Il sistema educativo di istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà territoriali.
Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell'infanzia, nel ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di base, e nel ciclo secondario, che assume la denominazione di scuola secondaria. Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità previste dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144.
L'obbligo scolastico inizia al sesto anno e termina al quindicesimo anno di età.
L'obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età si realizza secondo le disposizioni di cui all'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
Nel sistema educativo di istruzione e di formazione si realizza l'integrazione delle persone in situazione di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.
Le province autonome di Trento e di Bolzano e la regione Valle d'Aosta, nel rispetto delle norme statutarie, disciplinano l'attuazione dell'elevamento dell'obbligo scolastico anche mediante percorsi integrati di istruzione e formazione, ferma restando la responsabilità delle istituzioni scolastiche.
Articolo 6. Attuazione progressiva dei nuovi cicli
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo presenta al Parlamento un programma quinquennale di progressiva attuazione della riforma. Le Camere adottano, entro quarantacinque giorni dalla trasmissione, una deliberazione che contiene indirizzi specificamente riferiti alle singole parti del programma. Il programma è corredato da una relazione che ne dimostra la fattibilità nonché la congruità dei mezzi individuati rispetto agli obiettivi, compresa la valutazione degli eventuali maggiori oneri finanziari o delle eventuali riduzioni di spesa ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 2. Il programma comprende, tra l'altro, un progetto generale di riqualificazione del personale docente, finalizzato anche alla valorizzazione delle specifiche professionalità maturate, nonché alla sua eventuale riconversione; i criteri generali per la formazione degli organici di istituto con modalità tali da consentire l'attuazione dei piani di offerta formativa da parte delle singole istituzioni scolastiche; i criteri generali per la riorganizzazione dei curricoli della scuola di base e della scuola secondaria, ivi compresi quelli per la valorizzazione dello studio delle lingue e per l'impiego delle tecnologie didattiche; un piano per l'adeguamento delle infrastrutture.
Il programma di cui al comma 1 indica tempi e modalità di attuazione della presente legge. L'operatività di tale programma, ove questo rilevi oneri aggiuntivi, è subordinata all'approvazione dello specifico provvedimento legislativo recante l'indicazione dei mezzi finanziari occorrenti per la relativa copertura.
Le somme che si dovessero rendere disponibili per effetto della riforma sono riutilizzate con modalità e criteri indicati nel programma di cui al comma 1, anche ai fini della istituzione di periodi sabbatici volti alla qualificazione degli insegnanti in servizio. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Disposizioni correttive di quelle contenute nel programma di cui al comma 1 possono essere emanate durante la progressiva attuazione del programma stesso.
L'effettiva attuazione della presente legge è verificata dal Parlamento al termine di ogni triennio successivo alla data della sua entrata in vigore, sulla base di una apposita relazione presentata dal Ministro della pubblica istruzione.
All'attuazione della presente legge si provvede, sulla base delle norme generali da essa recate, mediante regolamenti da adottare a norma dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità agli indirizzi definiti dalle Camere in ordine al programma di cui al comma 1, nell'ambito delle disposizioni di legge. Sugli schemi di regolamento è acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano sulla loro conformità agli indirizzi deliberati dalle Camere e alle norme di legge. Decorsi quarantacinque giorni dalla richiesta di parere alle Commissioni, i regolamenti possono comunque essere emanati. Ciascun regolamento reca una ricognizione delle norme abrogate e disposizioni transitorie per il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. Per gli ambiti di cui all'articolo 8 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, concernente la definizione dei curricoli, si provvede con le modalità di cui all'articolo 205 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
Il personale docente in servizio, alla data di entrata in vigore delle disposizioni regolamentari che disciplinano l'organizzazione dei settori di appartenenza, ha diritto al mantenimento della sede fino alla sua definitiva assegnazione, che si realizza tenendo conto in via prioritaria delle richieste, degli interessi, dei titoli e delle professionalità di ciascuno.
I titoli universitari ed i curricoli richiesti per il reclutamento degli insegnanti della scuola di base sono individuati, anche in deroga a quanto disposto dall'articolo 3, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, con regolamento del Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, adottato sulla base degli indirizzi generali definiti dalle Camere in sede di deliberazione di cui al comma 1.

LEGGE 390/1991
NORME SUL DIRITTO AGLI STUDI UNIVERSITARI

Articolo 1 - Finalità
In attuazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, la presente legge detta norme per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano l'uguaglianza dei cittadini nell'accesso all'istruzione superiore e, in particolare, per consentire ai capaci e, meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Articolo 2 - Destinatari
Ai fini della presente legge, per <> si intendono gli iscritti ai corsi di studio delle università, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli aventi valore legale.
Le istituzioni di cui al comma 1 nei successivi articoli sono comprese nella dizione <>.
Articolo 3
Interventi dello Stato, delle regioni e delle università.
Allo Stato spettano l'indirizzo, il coordinamento e la programmazione degli interventi in materia di diritto agli studi universitari.
Le regioni attivano gli interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale per la concreta realizzazione del diritto agli studi universitari.
Le università organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e di tutorato, in modo da rendere effettivo e proficuo lo studio universitario.
Le regioni, le università, nonché gli enti ed istituzioni aventi comunque competenza nelle materie connesse all'attuazione del diritto agli studi universitari collaborano tra loro per il raggiungimento delle finalità della presente legge. A tale scopo stipulano accordi e convenzioni per la realizzazione di specifiche attività.
Articolo 4 - Uniformità di trattamento
Con decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di seguito denominato <>, sentiti il Consiglio universitario nazionale (CUN) e la Consulta nazionale di cui all'articolo 6, sono stabiliti ogni tre anni:
a) i criteri per la determinazione del merito e delle condizioni economiche degli studenti, nonché per la definizione delle relative procedure di selezione, ai fini dell'accesso ai servizi e del godimento degli interventi di cui alla presente legge non destinati alla generalità degli studenti. Le condizioni economiche vanno individuate sulla base della natura e dell'ammontare del reddito imponibile e dell'ampiezza del nucleo familiare;
b) le tipologie minime e i relativi livelli degli interventi di cui al comma 2 dell'articolo 3;
c) gli indirizzi per la graduale riqualificazione della spesa a favore degli interventi riservati ai capaci e meritevoli privi di mezzi.
Il decreto di cui al comma 1 è emanato sei mesi prima dell'inizio del primo dei tre anni accademici di riferimento, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, di cui all'articolo 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400. In prima applicazione il decreto è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e rimane in vigore fino alla fine dell'anno accademico successivo a quello in corso alla data di emanazione del decreto stesso.
Articolo 5 - Rapporto al Parlamento
Il Ministro presenta al Parlamento, ogni tre anni, unitamente al rapporto sullo stato dell'istruzione universitaria di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 9 maggio 1989, n. 168, un rapporto sull'attuazione del diritto agli studi universitari, tenuto conto dei dati trasmessi dalle regioni e dalle università per quanto di rispettiva competenza e sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 6.
In prima applicazione della presente legge, il rapporto sull'attuazione del diritto agli studi universitari è presentato tre mesi prima della fine dell'anno accademico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche disgiuntamente dalla presentazione del rapporto sullo stato dell'istruzione universitaria.
Articolo 6
Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari.
E’ istituita presso il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, di seguito denominato <>, la Consulta nazionale per il diritto agli studi universitari.
La Consulta:
a) formula pareri e proposte al Ministro in materia di diritto agli studi universitari;
b) indica i criteri per la formulazione del rapporto di cui all'articolo 5, anche promuovendo, a tal fine, indagini e ricerche sulla condizione studentesca e sui servizi di orientamento e di tutorato, ed esprime il parere sul rapporto stesso;
c) esprime il parere di cui all'articolo 4, comma 1.
La Consulta è presieduta dal Ministro ed è composta da cinque rappresentanti delle università, da cinque rappresentanti delle regioni nominati ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 16 dicembre 1989, n. 418, e da cinque rappresentanti degli studenti.
Le modalità per l'elezione dei rappresentanti delle università e degli studenti e per il funzionamento della Consulta sono disciplinate con regolamento adottato con decreto del Ministro.
Agli oneri per il funzionamento della Consulta si provvede a carico del capitolo 1125 dello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica per l'anno 1991 e dei corrispondenti capitoli per gli anni successivi.
Articolo 7 – Principi generali
Le regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa nelle materie di cui all'articolo 3, comma 2, conformandosi ai seguenti princìpi:
a) l'accesso ai servizi e alle provvidenze economiche è garantito a tutti gli studenti iscritti nelle università che hanno sede nella regione, secondo criteri di parità di trattamento, indipendentemente dalle aree geografiche di provenienza e dai corsi di diploma e di laurea cui gli studenti stessi afferiscono;
b) la fruizione dei servizi comporta per gli studenti una partecipazione al costo del servizio stesso. Gli enti per il diritto agli studi universitari possono disporre la gratuità o particolari agevolazioni nell'uso di alcuni servizi, purché ciò avvenga esclusivamente a favore di studenti capaci e meritevoli privi di mezzi;
c) l'accesso ai servizi e alle provvidenze, che non siano fruibili dalla generalità degli studenti, è regolato con procedure selettive in applicazione dei criteri di cui all'articolo 4 e tenuto conto della specificità degli interventi;
d) le borse di studio, assegnate ai sensi dell'articolo 8, non possono comunque essere cumulate con altre borse di studio a qualsiasi titolo attribuite, tranne che con quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere volte ad integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di formazione o di ricerca dei borsisti;
e) possono essere previste disposizioni particolari per l'accesso degli studenti portatori di handicap ai benefici ed ai servizi regolati dalle leggi in materia nonché la possibilità, in relazione a condizioni di particolare disagio socioeconomico o fisico, di maggiorazione dei benefici.
Gli studenti già in possesso di un diploma di laurea non possono accedere per un ulteriore corso di laurea alle provvidenze destinate ai capaci e meritevoli privi di mezzi.
Le regioni a statuto ordinario realizzano, nei limiti degli stanziamenti dei rispettivi bilanci, interventi specifici, quali:
a) erogazione di servizi collettivi, tra cui mense, alloggi, trasporti, o di corrispettivi monetari;
b) assegnazione di borse di studio ai sensi dell'articolo 8;
c) orientamento al lavoro;
d) assistenza sanitaria.
Gli interventi di cui al presente articolo devono essere funzionali alle esigenze derivanti dallo svolgimento delle attività didattiche e formative che restano autonomamente regolate dalle università ai sensi dell'articolo 33 della Costituzione.
Articolo 8 - Borse di studio
Le regioni determinano la quota dei fondi destinati agli interventi per il diritto agli studi universitari, da devolvere annualmente all'erogazione di borse di studio per gli studenti iscritti ai corsi di diploma e di laurea nel rispetto dei requisiti minimi stabiliti ai sensi dell'articolo 4 e secondo le procedure selettive di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c). Le regioni possono anche trasferire i predetti fondi alle università, affinché queste provvedano ad erogare le borse (1). (1) Vedi art. 2, d.p.c.m. 28 luglio 1997.
Articolo 9 - Coordinamento interregionale
Le regioni promuovono incontri periodici per uniformare gli interventi.
Agli incontri partecipa un rappresentante designato da ciascun comitato regionale di cui all'articolo 3 della legge 14 agosto 1982, n. 590, e, per le regioni in cui sia presente una sola università, il rettore o un suo delegato.
Articolo 10
Coordinamento nell'ambito regionale tra gli interventi di competenza della regione e quelli di competenza dell'università.
Il coordinamento tra gli interventi della regione e gli interventi dell'università è attuato mediante apposita conferenza alla quale partecipano i rappresentanti della regione e del comitato regionale di cui all'articolo 3 della legge 14 agosto 1982, n. 590, garantendo in ogni caso la partecipazione di tutte le università aventi sede nella regione. Nelle regioni in cui sia presente una sola università, questa è rappresentata dal rettore o da un suo delegato.
I risultati della conferenza di cui al comma 1 sono comunicati periodicamente alla Consulta nazionale di cui all'articolo 6.
Articolo 11 - Regioni a statuto speciale
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano nelle materie di cui alla presente legge le competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione.
Articolo 12 – Attribuzioni
Le università esercitano le funzioni già assegnate dalla legge 19 novembre 1990, n. 341, in materia di diritto agli studi universitari. Le università inoltre:
a) concedono l'esonero totale o parziale dal pagamento dei contributi, previsti dai rispettivi ordinamenti, sulla base dei criteri di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a);
b) agevolano la frequenza ai corsi, nonché lo studio individuale, anche mediante l'apertura in ore serali di biblioteche e laboratori;
c) promuovono corsi per studenti lavoratori e corsi di insegnamento a distanza, disciplinandone la durata e le particolari modalità di svolgimento ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
d) promuovono attività culturali, sportive e ricreative, mediante l'istituzione di servizi e strutture collettive, anche in collaborazione con le Regioni e avvalendosi altresì delle associazioni e cooperative studentesche;
e) curano l'informazione circa le possibilità offerte per lo studio e la formazione presso altre università o enti, con particolare attenzione ai programmi comunitari e pubblicizzano gli interventi di loro competenza in materia di diritto agli studi universitari;
f) promuovono interscambi di studenti, che possono avere validità ai fini dei corsi di studio, con università e con altre istituzioni assimilate italiane ed estere, salvo le vigenti disposizioni in materia di riconoscimento di corsi e titoli;
g) sostengono le attività formative autogestite dagli studenti di cui all'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 19 novembre 1990, n. 341. 2. Le università provvedono alle attività di cui al presente articolo senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.
Articolo 13 - Attività a tempo parziale
Le università, sentito il senato degli studenti, possono disciplinare con propri regolamenti forme di collaborazione degli studenti ad attività connesse ai servizi resi, con esclusione di quelli inerenti alle attività di docenza di cui all'articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341, allo svolgimento degli esami, nonché all'assunzione di responsabilità amministrative. L'assegnazione delle predette collaborazioni avviene nei limiti delle risorse disponibili nel bilancio delle università, con esclusione di qualsiasi onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato, e sulla base di graduatorie annuali formulate secondo i criteri di merito e reddito di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a).
La prestazione richiesta allo studente per le collaborazioni di cui al comma 1 comporta un corrispettivo, esente dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche. La collaborazione non configura in alcun modo un rapporto di lavoro subordinato e non dà luogo ad alcuna valutazione ai fini dei pubblici concorsi. Le università provvedono alla copertura assicurativa contro gli infortuni.
I regolamenti di cui al comma 1 sono emanati nel rispetto dei seguenti princìpi:
a) i compensi possono essere assegnati a studenti che abbiano superato almeno i due quinti degli esami previsti dal piano di studio prescelto con riferimento all'anno di iscrizione;
b) le prestazioni dello studente non possono superare un numero massimo di 150 ore per ciascun anno accademico;
c) a parità di condizioni del curriculum formativo, prevalgono le condizioni di reddito più disagiate;
d) al termine di ciascun anno viene fatta una valutazione sull'attività svolta da ciascun percettore dei compensi e sull'efficacia dei servizi attivati.
Articolo 14 - Corsi intensivi
I consigli delle strutture didattiche possono prevedere l'attivazione di corsi intensivi, a totale carico dei bilanci universitari, al fine di consentire, anche agli studenti che si trovino in situazioni di svantaggio, una più efficace fruizione dell'offerta formativa.
I corsi di cui al comma 1 sono disciplinati dai regolamenti previsti all'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341.
L'insegnamento nei corsi intensivi è svolto da professori e ricercatori confermati in ruolo in aggiunta alle attività di docenza previste dall'articolo 12 della legge 19 novembre 1990, n. 341, e con le modalità di cui al comma 3 dello stesso articolo. L'ammontare della relativa retribuzione è stabilito con i regolamenti di cui al comma 2 del presente articolo.
Corsi intensivi speciali possono essere attivati, secondo le modalità di cui al presente articolo:
a) per il perseguimento di finalità formative analoghe a quelle previste per le scuole di specializzazione di cui all'articolo 4, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, nelle more dell'emanazione dei relativi decreti di attuazione di cui all'articolo 9, comma 1, della stessa legge. Gli studi compiuti nell'ambito di tali corsi possono altresì essere riconosciuti, totalmente o parzialmente, successivamente all'attivazione delle predette scuole di specializzazione, ai fini della prosecuzione degli studi nelle stesse;
b) per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 6, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
c) per il recupero linguistico degli studenti stranieri.
Articolo 15 - Concorso delle università agli altri interventi
Le università possono concorrere agli interventi previsti dai Capi II e III della presente legge con oneri esclusivamente a carico del proprio bilancio.
Articolo 16 - Prestiti d'onore.
Agli studenti in possesso dei requisiti di merito e di reddito individuati ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera a), possono essere concessi dalle aziende ed istituti di credito, anche in deroga a disposizioni di legge e di statuto, prestiti d'onore destinati a sopperire alle esigenze di ordine economico connesse alla frequenza degli studi (1).
Il prestito d'onore è rimborsato ratealmente, senza interessi, dopo il completamento o la definitiva interruzione degli studi e non prima dell'inizio di un'attività di lavoro dipendente o autonomo. La rata di rimborso del prestito non può superare il 20 per cento del reddito del beneficiario. Decorsi comunque cinque anni dal completamento o dalla interruzione degli studi, il beneficiario che non abbia iniziato alcuna attività lavorativa è tenuto al rimborso del prestito e, limitatamente al periodo successivo al completamento o alla definitiva interruzione degli studi, alla corresponsione degli interessi al tasso legale (1).
Le regioni a statuto ordinario disciplinano le modalità per la concessione dei prestiti d'onore e, nei limiti degli appositi stanziamenti di bilancio, provvedono alla concessione di garanzie sussidiarie sugli stessi e alla corresponsione degli interessi, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro del tesoro di concerto con il Ministro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome. Le convenzioni che in materia le regioni stipulano con aziende ed istituti di credito devono disciplinare:
a) i termini di erogazione rateale del prestito in relazione all'inizio dei corsi e ai livelli di profitto;
b) le penali a carico dell'azienda o dell'istituto di credito per il ritardo nell'erogazione delle rate del prestito (1).
Ad integrazione delle disponibilità finanziarie destinate dalle regioni agli interventi di cui al presente articolo, è istituito, per gli anni 1991 e 1992, presso il Ministero, un Fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d'onore. Il Fondo è ripartito per i medesimi anni fra le regioni che abbiano attivato le procedure per la concessione dei prestiti, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome. L'importo assegnato a ciascuna regione non può essere superiore allo stanziamento destinato dalla stessa per le finalità di cui al presente articolo (2). (1) Vedi art. 1, d.p.c.m. 28 luglio 1997. (2) Vedi l. 11 febbraio 1992, n. 147 e l'art. 5, d.l. 21 aprile 1995, n. 120, conv. in l. 21 giugno 1995, n. 236. Il presente Fondo è ridotto dello 0,5% e può essere destinato anche alle erogazioni di borse di studio di cui all'art. 8 precedente, ex art. 1, comma 89, l. 23 dicembre 1996, n. 662.
Articolo 17 - Fondo di incentivazione
Il piano triennale di sviluppo dell'università di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 245, al fine di assicurare anche il riequilibrio dell'offerta formativa ed una più proficua utilizzazione dei servizi di insegnamento, formula le indicazioni:
a) per l'incentivazione delle iscrizioni ai corsi di studio presso le sedi ove esistano capacità ricettive non pienamente utilizzate e per la razionale distribuzione degli studenti tra le sedi presenti nello stesso ambito territoriale nonché per lo sviluppo delle università istituite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni;
b) per la promozione delle iscrizioni a corsi di studio inerenti ad aree disciplinari di particolare interesse nazionale e comunitario.
Ai fini di cui al comma 1, nello stato di previsione del Ministero è istituito, limitatamente agli anni 1991 e 1992, un apposito capitolo di bilancio, denominato <>.
Il Fondo di cui al comma 2 è ripartito, per ciascuno degli anni 1991 e 1992, e comunque per il 1992 entro il 31 marzo, tra le università e per i singoli corsi di studio, tenuto conto delle indicazioni di cui al comma 1, con decreto del Ministro, sentiti il CUN e la Conferenza permanente dei rettori. Il decreto indica altresì il numero e l'importo delle borse, nonché le modalità per il conferimento, che deve comunque avvenire per concorso.
Le università provvedono ad emanare i bandi di concorso che devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale almeno due mesi prima dell'inizio di ciascun anno accademico e comunque in data non anteriore al 1º agosto.
Gli studenti che abbiano presentato domanda di ammissione al concorso ed abbiano sostenuto le eventuali prove con esito negativo, possono presentare domanda di iscrizione presso la stessa o altra università anche oltre i termini previsti dalla normativa vigente, in ogni caso non oltre il 31 dicembre. Le università sono tenute ad espletare le procedure di concorso in tempo utile a consentire l'iscrizione ai corsi di studio prescelti entro il predetto termine (1). (1) Vedi art. 1, d.p.c.m. 28 luglio 1997.
Articolo 18 - Alloggi
Nell'esercizio delle funzioni di cui all'articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457, le regioni predispongono interventi pluriennali per l'edilizia residenziale universitaria finalizzati alla costruzione, all'ampliamento, alla ristrutturazione, all'ammodernamento e alla manutenzione delle strutture destinate ad alloggi per studenti universitari e alla concessione di contributi alle province ed ai comuni ove esistano sedi universitarie, per la ristrutturazione di immobili di loro proprietà da adibire alla medesima destinazione.
Per i fini di cui al comma 1, le regioni possono utilizzare quote delle risorse disponibili per la realizzazione di programmi pluriennali per l'edilizia residenziale pubblica.
Le regioni disciplinano le modalità per l'utilizzazione di alloggi da parte degli studenti non residenti anche mediante l'erogazione dei contributi monetari di cui all'articolo 7, comma 3, lettera a), ovvero mediante la stipula di apposite convenzioni con cooperative, enti e soggetti individuali.
Per le finalità di cui al presente articolo, il Ministro può assegnare alle università che intendano partecipare ai programmi di edilizia predisposti dalle regioni una quota dello stanziamento di bilancio destinato all'edilizia universitaria, per un importo non superiore complessivamente al 5 per cento dell'intero stanziamento. Gli oneri di manutenzione degli immobili sono a totale carico delle regioni.
Articolo 19 - Assistenza sanitaria.
Le regioni, nell'ambito della programmazione regionale, possono stipulare convenzioni con le università per assicurare prestazioni sanitarie agli studenti all'interno delle sedi universitarie.
Articolo 20 - Studenti stranieri.
Gli studenti di nazionalità straniera fruiscono dei servizi e delle provvidenze previste dalla presente legge e dalle leggi regionali nei modi e nelle forme stabilite per i cittadini italiani.
Gli studenti di cui al comma 1 fruiscono dei servizi e delle provvidenze per concorso; essi fruiscono dell'assistenza sanitaria con le modalità di cui all'articolo 6, primo comma, lettera a), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e successive modificazioni e integrazioni, ed all'articolo 5 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33 (1).
Gli studenti, cui le competenti autorità statali abbiano riconosciuto la condizione di apolide o di rifugiato politico, sono equiparati, agli effetti della presente legge, ai cittadini italiani.
Ai fini di cui al comma 3, il Ministero degli affari esteri, entro il mese di settembre di ciascun anno ed in prima applicazione entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, comunica alle regioni quali studenti abbiano diritto alle prestazioni regionali ai sensi dei commi 2 e 3.
Il permesso di soggiorno per gli studenti stranieri, che non siano lavoratori, fatte salve le norme sull'ingresso ed il soggiorno degli stranieri, è concesso con riferimento all'anno accademico e può venire rinnovato solo ove lo studente possegga i requisiti di merito di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), o previsti da particolari disposizioni legislative. Sono fatte salve, comunque, le disposizioni comunitarie in materia.
Le università comunicano ogni tre mesi alle questure territorialmente competenti l'elenco degli studenti stranieri iscritti alle università e non rientranti nelle categorie di cui al comma 5 e prendono gli opportuni contatti con il Ministero dell'interno per la eventuale regolarizzazione delle loro posizioni. (1) Comma così modificato dall'art. 46, l. 6 marzo 1998, n. 40. Tale modificazione è stata confermata dall'art. 47, d.lg. 25 luglio 1998, n. 286.
Articolo 21 - Beni immobili e mobili
Alle regioni è concesso l'uso perpetuo e gratuito dei beni immobili dello Stato e del materiale mobile di qualsiasi natura in essi esistente, destinati esclusivamente a servizi per la realizzazione del diritto agli studi universitari.
Gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria relativi ai beni di cui al comma 1, nonché ogni eventuale tributo, sono posti a carico delle regioni.
Alle regioni è concesso l'uso dei beni immobili delle università e del materiale mobile in essi esistente, destinati esclusivamente alla realizzazione dei fini istituzionali già propri delle opere universitarie.
Per i beni di cui al comma 3, le modalità dell'uso ed il relativo canone sono determinati, sulla base di una stima del valore dei beni effettuata dall'ufficio tecnico erariale, con apposita convenzione tra regione e università da stipularsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. L'uso può essere gratuito ove la regione si assuma tutti gli oneri derivanti dalla proprietà dei beni. Qualora, per qualsiasi ragione, venga meno la destinazione di cui al presente articolo, i beni devono essere riconsegnati all'università o allo Stato.
Nel caso di beni immobili non destinati esclusivamente alle finalità di cui ai commi 1 e 3, l'uso di parte degli stessi connesso alla realizzazione del diritto agli studi universitari è disciplinato con apposita convenzione tra regione e Stato o tra regione ed università.
Le regioni subentrano alle università e alle opere universitarie, aventi sede nel loro territorio, nei rapporti contrattuali da esse conclusi con terzi, relativi all'uso dei beni immobili e mobili destinati alla realizzazione dei fini istituzionali già propri delle opere universitarie.
All'accertamento dei beni di cui ai commi 1, 3 e 6 provvede, per ciascuna regione sede di università, una commissione nominata dal Ministro entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Le commissioni, composte da rappresentanze paritetiche della regione, del comune, dell'università, del Ministero e del Ministero delle finanze, accertano, nel termine di novanta giorni dalla costituzione, la condizione giuridica dei beni stessi.
Lo Stato e le università hanno facoltà di concedere in uso alle regioni, per i fini indicati nella presente legge, altri immobili mediante apposite convenzioni. L'uso può essere gratuito ove la regione si assuma tutti gli oneri derivanti allo Stato o all'università dalla proprietà dei beni.
Articolo 22 - Accertamenti
Ai fini dell'ammissione ai benefici previsti per l'attuazione del diritto agli studi universitari, gli studenti interessati, ove necessario, sono tenuti a produrre all'ente erogatore un'autocertificazione, ai sensi dell'articolo 24 della legge 13 aprile 1977, n. 114, attestante le condizioni economiche proprie e dei componenti il nucleo familiare di appartenenza, sottoscritta anche dai titolari dei redditi in essa indicati. Per i relativi controlli fiscali si applicano le vigenti disposizioni statali.
In relazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti preposti al diritto agli studi universitari possono richiedere alle intendenze di finanza l'effettuazione di controlli e verifiche fiscali.
Gli organismi che provvedono all'erogazione delle provvidenze economiche di cui alla presente legge inviano gli elenchi dei beneficiari delle stesse all'Amministrazione finanziaria. I titolari del nucleo familiare di appartenenza degli studenti che beneficiano di interventi che richiedono un accertamento delle condizioni economiche sono inseriti nelle categorie che vengono assoggettate, ai sensi della vigente normativa, ai massimi controlli.
Articolo 23 - Sanzioni
Chiunque, senza trovarsi nelle condizioni stabilite dalle disposizioni statali e regionali, presenti dichiarazioni non veritiere proprie o dei propri congiunti, al fine di fruire dei relativi interventi, è soggetto ad una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di importo doppio rispetto a quella percepita e perde il diritto ad ottenere altre erogazioni per la durata del corso degli studi, salva in ogni caso l'applicazione delle norme penali per i fatti costituenti reato.
Articolo 24 – Pubblicità
L'elenco di tutti i beneficiari delle provvidenze di cui alla presente legge, ripartiti per tipologie di interventi, è pubblicato a cura delle università, con decorrenza semestrale.
Articolo 25 - Norma finale. Organismi regionali di gestione.
Le regioni conformano la propria legislazione alle norme della presente legge entro due anni dalla data della sua entrata in vigore. In particolare, costituiscono per ogni università un apposito organismo di gestione, dotato di autonomia amministrativa e gestionale, il cui consiglio di amministrazione è composto da un ugual numero di rappresentanti della regione e dell'università. Nelle città sedi di più università, o dove sia comunque opportuno per una maggiore razionalità ed efficienza della gestione, la legislazione regionale può prevedere e disciplinare l'aggregazione volontaria delle università al fine della costituzione di unico organismo di gestione. La regione non può designare personale universitario quale proprio rappresentante. Metà dei rappresentanti dell'università sono designati dagli studenti. Il presidente è nominato dalla regione d'intesa con l'università. Le regioni possono altresì affidare mediante convenzione la gestione degli interventi in materia di diritto agli studi universitari alle università, le quali a tal fine provvedono con apposite norme dei rispettivi statuti.
Gli organismi di gestione possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni che rispettino i criteri pubblici di attribuzione, di servizi resi da enti, da soggetti individuali o da associazioni e cooperative studentesche costituite ed operanti nelle università.
Restano ferme le vigenti disposizioni concernenti i collegi universitari legalmente riconosciuti e posti sotto la vigilanza del Ministero.
Articolo 26 - Norma abrogativa
Sono abrogate la legge 14 febbraio 1963, n. 80, e successive modificazioni, nonché le altre disposizioni in contrasto con la presente legge.
Sono fatte salve per l'università della Calabria le specifiche disposizioni, in materia di diritto agli studi universitari, di cui alla legge 12 marzo 1968, n. 442.
Articolo 27 - Copertura finanziaria.
Per il finanziamento dei Fondi di cui agli articoli 16, comma 4, e 17, comma 2, è autorizzata negli anni 1991 e 1992, rispettivamente, la spesa di lire 50 miliardi e di lire 25 miliardi. Al relativo onere per i medesimi anni 1991 e 1992 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno finanziario 1991, all'uopo utilizzando lo specifico accantonamento <>.
Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

LEGGE FINANZIARIA (NORME RELATIVE ALL’UNIVERSITA’)

L'art. 15, recante disposizioni in materia di immobili, al comma 1 amplia le ipotesi di utilizzo dei beni immobili confiscati per mafia, prevedendo che gli stessi, già destinati dalla normativa vigente (comma 2, lettera a dell'articolo 2-undecies della legge 31 maggio 1965, n. 575) a finalità di giustizia, ordine pubblico e di protezione civile, possano essere destinati anche per altri usi governativi o pubblici connessi allo svolgimento delle attività istituzionali di Amministrazioni statali, Agenzie Fiscali, Università statali, enti pubblici e istituzioni culturali di rilevante interesse.
Il medesimo articolo, al comma 3, integra le disposizioni relative al trasferimento alle università statali di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, concessi in uso alle medesime (articolo 2, comma 1, della legge 2 aprile 2001, n. 136), prevedendo l'emanazione, entro il 30 giugno 2007, di un apposito regolamento da adottarsi con decreto del Ministro dell'economia e finanze, di concerto con il MIUR , che fissi criteri, modalità e termini del predetto trasferimento.
L'art. 18 recante disposizioni volte a ridurre l'incidenza del costo del lavoro ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, modifica l'art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997 introducendo nuove forme di deduzione: in questo ambito (comma 1, lettera a, punto 5) è confermata la possibilità, già prevista dal sopra ciatato art. 11, di dedurre i costi sostenuti per il personale addetto alla ricerca e sviluppo, ivi compresi quelli sostenuti da consorzi tra imprese costituiti per la realizzazione di programmi comuni di ricerca e sviluppo, a condizione di determinate garanzie di certificazione di effettività.
L'art. 20, recante disposizioni in materia fiscale prevede ai commi 1-5, che alle imprese sia attribuito un credito d'imposta nella misura del dieci per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo, elevata al 15 per cento qualora i predetti costi siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti di ricerca . L'importo massimo dei costi consentito ai fini della determinazione del credito d'imposta è fissato a 15 milioni di euro per ciascun periodo d'imposta. Gli obblighi di comunicazione a carico delle imprese, per quanto attiene alla definizione delle attività di ricerca e sviluppo agevolabili e le modalità di verifica ed accertamento della effettività delle spese sostenute e corenza delle stesse con la disciplina comunitaria, sono rimessi ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La formulazione della norma riconduce la competenza dell'intervento al Ministero dello sviluppo economico e non è previsto alcun tipo di intervento da parte del MIUR.
Il medesimo articolo (Commi 8 e 9) prevede, inoltre, la possibilità per il personale docente delle università statali, oltre che per i docenti della scuola, di usufruire di una detrazione dall'imposta lorda delle spese sostenute per l'acquisto di nuovi personal computer, nella misura del 19 per cento delle spese documentate e entro l'importo massimo di 1000 euro. Le modalità di attuazione sono rimesse ad un decreto del Ministro dell'istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del MIUR.
Il comma 19 del medesimo articolo introduce un'agevolazione in favore dei titolari di diritti di sfruttamento di opere dell'ingegno, di età inferiore agli anni 35, con particolare riferimento agli autori o inventori, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali: per tali soggetti viene elevato dal 25 al 40% l'abbattimento forfetario del reddito, di cui all'art. 54, comma 8, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al DPR n. 917 del 1986.
Con il comma 20, lettera i-sexies, si riconosce la possibilità di detrarre dall'imposta lorda delle persone fisiche le spese sostenute da studenti universitari fuori sede per il pagamento di canoni di locazione di natura transitoria, nella misura del 19 per cento e fino a un importo non superiore a 2.633 euro.
L'art. 32 prevede la revisione degli assetti organizzativi, introducendo misure strutturali che vanno ad incidere sull'organizzazione e sul personale dei Ministeri e della PCM. Si prevede, in particolare, la riduzione, non inferiore al 10 per cento, degli uffici di livello dirigenziale generale e al 5 per cento di quelli di livello dirigenziale non generale; la riduzione delle strutture periferiche; la riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo e la riduzione degli organismi di analisi, consulenza e studio di elevata specializzazione, la progressiva riduzione delle dotazioni organiche in modo da assicurare che il personale impegnato in funzioni di supporto non ecceda il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ogni amministrazione, entro il 31 dicembre 2008. Sono infine definiti gli adempimenti e i termini per le amministrazioni e gli effetti dell'omessa osservanza dei medesimi.
L'art. 39 prevede, al comma 1, che il personale utilizzato dagli enti pubblici non economici nazionali e nelle Agenzie per lo svolgimento delle funzioni di supporto non possa eccedere il quindici per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate dalle Amministrazioni stesse. Si prevede inoltre che gli enti destinatari della norma adottino i provvedimenti di riorganizzazione e di riallocazione delle risorse necessari per rispettare il suddetto parametro del quindici per cento (commi 2 e 3) e che i processi riorganizzativi in questione debbano concludersi entro il termine massimo di un anno dall'entrata in vigore della legge (comma 3). Sono infine previsti il monitoraggio e il controllo dell'attuazione delle predette disposizioni e il commissariamento dell'ente in caso di mancato rispetto delle medesime (commi 5 e 6).
L'articolo 41 disciplina il programma di razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi, stabilendo l'obbligatorietà di utilizzo delle convenzioni quadro da parte delle Amministrazioni statali, il ricorso al mercato elettronico della PA, per gli acquisti al di sotto della soglia di rilievo comunitario, l'obbligatorietà di utilizzo di transazioni on line per le convenzioni quadro per cui è stato attivato il negozio elettronico etc.
I destinatari della norma sono "le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie" mentre le "restanti amministrazioni pubbliche" avrebbero la facoltà, e non l'obbligo, di ricorrere alle convenzioni-quadro e di aderire alle convenzioni stipulate dalle centrali di acquisto territoriale.
La norma non appare correttamente formulata nella parte in cui ricomprende fra le Amministrazioni statali, seppure per escluderle dal campo di applicazione, le istituzioni universitarie. Infatti, se la ratio è quella di stabilire l'obbligo per le Amministrazioni statali e la facoltà per le Amministrazioni pubbliche diverse dall'Amministrazione statale, il riferimento alle istituzioni universitarie, che rientrano nella seconda categoria, deve essere espunto. Se, invece, si intende escludere totalmente le istituzioni universitarie dal campo di applicazione della norma occorre una diversa formulazione.
Gli enti di ricerca rientrerebbero nella seconda categoria, per la quale è prevista la facoltà.
A seguito della nuova disciplina introdotta dall'art. 41, viene abrogato l'art. 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, concernente l'acquisto di beni e servizi a rilevanza regionale degli enti decentrati di spesa. Tale norma prevede la promozione di aggregazioni di enti con il compito di elaborare strategie comuni per l' acquisto di beni e servizi alle migliori condizioni del mercato, fra cui aggregazioni di università appartenenti a regioni diverse. Il medesimo articolo, che viene soppresso, al comma 3 consente, in alternativa, alle università di costituire fondazioni di diritto privato con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, per i medesimi fini di razionalizzazione dell'acquisto di beni e servizi, nonché per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca. Peraltro la normativa vigente (art. 14, comma 8 del decreto-legge n. 35 del 2005) prevede che gli atti relativi ai trasferimenti a titolo gratuito a favore delle predette fondazioni, come pure quelli a favore delle università e degli enti di ricerca, siano esenti da tasse e imposte indirette diverse da quella sul valore aggiunto e da diritti dovuti a qualunque titolo, e che gli onorari notarili relativi agli atti di donazioni siano ridotti.
L'art. 42 dispone una riorganizzazione del vertice degli enti pubblici non economici: si prevede, in particolare che : - ciascun ente (entro un mese dalla data di entrata in vigore della legge) presenta al Ministero vigilante modifiche degli statuti e dei regolamenti di organizzazione, volte ad attribuire le competenze del presidente e del consiglio di amministrazione, rispettivamente, al direttore generale e ad un comitato di gestione, composto dai dirigenti di livello apicale dello stesso ente. Inoltre, per gli enti di ricerca, è previsto un comitato scientifico per la definizione degli indirizzi e dei programmi di ricerca, composto nel principio di pari opportunità; - a decorrere dalla data di approvazione da parte dei Ministeri vigilanti delle predette modifiche degli statuti e regolamenti (entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge) vengono soppressi la presidenza e il consiglio di amministrazione. Nel caso in cui l'ente non provveda alle previste modiche nei termini stabiliti, si prevede la decadenza dall'incarico per i Presidenti ed i Consiglieri di amministrazione e il commissariamento dell'ente fino al rinnovo degli organi. Fra i destinatari della norma rientrano gli enti di ricerca mentre le università sono espressamente escluse.
L'art. 47 interviene nuovamente in materia di riordino, trasformazione e soppressione di enti pubblici, semplificando la procedura prevista dalla normativa vigente ( art. 28 della legge 28 dicembre 2001, n. 448), secondo la quale il Governo, con uno più regolamenti, individua enti e organismi pubblici ritenuti indispensabili disponendone, se necessario, la trasformazione, fusione o accorpamento; si prevede quindi che gli enti e organismi per i quali non sia stato adottato alcun provvedimento nei termini vengano soppressi e posti in liquidazione. La nuova procedura affida direttamente al predetto/i regolamento il compito di disciplinare il riordino, la trasformazione o la soppressione e messa in liquidazione degli enti e organismi pubblici non economici, nonché di strutture amministrative pubbliche, attenendosi a determinati principi e criteri direttivi. Sono soppresse le disposizioni concernenti gli organismi pubblici esclusi dalle trasformazioni o soppressioni; l'utilizzo da parte del Ministro dell'economia e delle finanze della struttura interdisciplinare prevista dall'art. 73, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999; la verifica che i servizi siano più proficuamente erogabili al di fuori del settore pubblico, cui è subordinata la trasformazione dell'ente; il rinvio ad una determinata procedura per la soppressione e messa in liquidazione degli enti.
L'art. 53 reca misure volte al contenimento della spesa, attraverso l'accantonamento di una quota, pari a 4.572 milioni per l'anno 2007, 5.031 milioni per l'anno 2008 e 4.922 per l'anno 2009 delle dotazioni delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato relative ai consumi intermedi (categoria 2), ai trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche (categoria 4), alle altre uscite correnti e alle spese in conto capitale. Sono escluse dall'accantonamento alcune tipologie di spesa di particolare natura, quali i trasferimenti agli enti territoriali, le rate di ammortamento, i limiti di impegno già attivati etc. (comma 1). E' prevista una certa flessibilità che consente al Ministro competente di procedere ad alcune variazioni dei predetti accantonamenti, con invarianza degli effetti sul fabbisogno e sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione (commi 1 e 3). E' inoltre stabilito che nel caso in cui le amministrazioni realizzino accantonamenti aggiuntivi di parte corrente, una quota delle predette economie, non superiore al 30 per cento, possa essere destinata ad appositi fondi per l'incentivazione del personale dirigente e non dirigente che abbia contribuito al conseguimento degli obiettivi di efficienza e razionalizzazione dei processi di spesa (comma 2).
L'art. 57 reca disposizioni in materia di personale: per quanto di interesse, il comma 2 prevede per il 2007 l'avvio del processo di stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato, in possesso di determinati requisiti, destinando a tale scopo una quota, pari al 20 per cento, del fondo per le assunzioni in deroga al blocco delle assunzioni di cui all'art. 1, comma 96 della legge n. 311 del 2004. Il comma 4 del medesimo articolo consente alle amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici ed altri enti, fra cui l'ENEA e l'ASI, di riprendere negli anni 2008 e 2009 le assunzioni di personale a tempo indeterminato, ma ponendo un limite di spesa, che è pari al 20 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente. Il predetto limite si applica anche a particolari categorie di personale fra cui quello in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del d.lgs. n. 165 del 2001. Per quanto concerne le università e gli enti di ricerca, le assunzioni di personale sono regolate dalla disciplina specifica di cui al successivo articolo 70. Si prevede inoltre che le predette Amministrazioni, per gli anni 2008 e 2009, possano procedere alla stabilizzazione del personale entro il tetto di spesa del 40 per cento di quella relativa alle cessazioni dell'anno precedente (Comma 5), oppure procedere ad ulteriori assunzioni entro un tetto di spesa pari a 75 milioni di euro a regime, a valere su un apposito fondo, la cui dotazione è pari a 25 milioni di euro per il 2008, 100 milioni per il 2009 e 150 milioni per il 2010 (comma 6); il comma 11 rinvia al 2010, cioè di due anni, la possibilità per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2 (che ricomprende le Amministrazioni statali, le istituzioni universitarie e gli pubblici non economici nazionali) e all'art. 70, comma 4, (particolari enti, fra cui l'ENEA e l'ASI) del d.lgs n. 165 del 2001, ad effettuare assunzioni a tempo indeterminato entro i limiti delle cessazioni verificatesi nell'anno precedente.
Il comma 4 dell'articolo 58 conferma che per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, fra cui rientrano le università e gli enti di ricerca, gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali per il biennio 2006-2007, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici ai professori e ai ricercatori universitari sono posti a carico dei rispettivi bilanci. Si conferma, inoltre, che in sede di deliberazione degli atti di indirizzo, i comitati di settore provvedano alla quantificazione delle relative risorse, attenendosi ai medesimi criteri previsti per il personale statale, avvalendosi allo scopo dei dati disponibili presso il MEF.
L'art. 64, comma 1, regola gli automatismi stipendiali previsti dalla normativa vigente per alcune categorie di personale, cosiddette in regime di diritto pubblico, fra le quali rientrano i professori e ricercatori universitari. Si prevede, in particolare, in attesa della revisione delle strutture retributive stabilite dai rispettivi ordinamenti, finalizzata alla soppressione degli automatismi stipendiali per anzianità nonché all'introduzione di specifici elementi di valutazione della produttività, la riduzione del 50 per cento del valore delle classi stipendiali e degli aumenti periodici biennali.
L'art. 69 reca disposizioni in materia di università e principali enti pubblici di ricerca.
In particolare, il comma 1, nel confermare che il sistema universitario concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, pone un limite alla crescita del fabbisogno nella misura del 3 per cento, per ciascun anno, rispetto al consuntivo dell'esercizio precedente. Alla determinazione del fabbisogno programmato per ciascun ateneo provvede il Ministro dell'Università e della ricerca , sentita la CRUI, tenendo conto di obiettivi di riequilibrio e equità.
Il comma 2 disciplina il fabbisogno finanziario dei grandi enti di ricerca, come l'ASI, l'INFN, l'ENEA, il Consorzio per l'area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste e l'INGV, che ugualmente concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, stabilendo un limite di crescita del fabbisogno medesimo pari al 4 per cento.
Al comma 3 si specificano le modalità per la determinazione annuale del fabbisogno finanziario dei predetti enti, chiarendo che lo stesso è determinato nella misura inferiore tra il fabbisogno programmato e quello realizzato nell'anno precedente, incrementato del tasso di crescita del 4%. E' prevista la possibilità di modifiche del fabbisogno annuale spettante a ciascun ente, con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del MIUR e del Ministro dello sviluppo economico.
Il comma 4 conferma per il triennio 2007-2009 che non concorrono alla determinazione del fabbisogno annuale dell'ASI i pagamenti relativi alla contribuzione annuale dovuta all'Agenzia spaziale europea (ESA), in quanto correlati ad accordi internazionali, nonché i pagamenti per programmi in collaborazione con la medesima ESA e programmi realizzati con leggi speciali, ivi compresa la partecipazione al programma «Sistema satellitare di navigazione globale GNSS-Galileo», ai sensi della legge 29 gennaio 2001, n. 10, e dell'articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 4 giugno 2003, n. 128.
Il comma 5 precisa che il fabbisogno finanziario del sistema universitario e degli enti di ricerca, come determinato ai sensi dei commi precedenti è incrementato degli oneri contrattuali del personale limitatamente a quanto dovuto a titolo di competenze arretrate.
L'art. 70 reca disposizioni in tema di personale delle università e degli enti di ricerca. In considerazione della rilevanza strategica dei settori dell'università e della ricerca ai fini dello sviluppo del Paese, viene dettata una specifica disciplina intesa a consentire ambiti assunzionali più ampi rispetto agli altri comparti, specie in riferimento al personale ricercatore.
Anche in tale contesto viene comunque riservata una particolare attenzione alla stabilizzazione del personale precario da tempo utilizzato nelle realtà interessate.
Viene infine previsto un piano straordinario per l'assunzione di giovani ricercatori mediante l'attribuzione dell'idoneità scientifica nazionale con contestuale attribuzione di specifiche risorse.
Al comma 1 sono previsti limiti, sia sulla consistenza numerica che di carattere finanziario, all'assunzione di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In particolare, si stabilisce che, a decorrere dal 2008, le Università statali e gli enti di ricerca pubblici possono procedere all'assunzione di personale entro il limite dell'80% delle entrate correnti complessive, come risultano dal bilancio consuntivo dell'anno precedente, purchè non venga superato il limite numerico delle cessazioni dei rapporti di lavoro intervenute nell'esercizio precedente.
Il comma 2, nel fare riferimento all'art. 57, comma 5, dispone una correlazione, in linea di principio, ai fini delle eventuali iniziative di stabilizzazione del personale precario.
Nell'anno 2007, si precisa al comma 3, che le Università statali e gli enti di ricerca pubblici possono avviare procedure concorsuali ma la costituzione effettiva dei rapporti di lavori a tempo indeterminato, non può comunque essere effettuata in data antecedente al 1° gennaio 2008.
Fermi restando i limiti di cui ai commi precedenti, sono comunque fatte salve le assunzioni conseguenti a bandi di concorso già pubblicati ovvero a procedure già avviate alla data del 30 settembre 2006.
Al comma 5 viene stabilito che, entro il 31 marzo 2007, il Ministro dell'Università e della ricerca, sentito il Consiglio Universitario Nazionale e la CRUI, bandisce un piano straordinario di assunzione di ricercatori mediante attribuzione dell'idoneità scientifica nazionale. Definisce, altresì, la consistenza numerica e le modalità pocedimentali con particolare attenzione ai criteri di valutazione dei titoli scientifici, didattici e dell'attività di ricerca.
Al comma 6 si definisce lo stanziamento finanziario disponibile per l'attuazione degli interventi di cui ai commi precedenti.
L'art. 71 dispone il divieto temporaneo di istituire nuove facoltà e corsi di studio.
La norma è volta al contenimento delle spese di funzionamento delle Università.
Al comma 1, per gli anni dal 2007 al 2009 incluso, è fatto divieto alle stesse di istituire e attivare facoltà e corsi di studio in sedi diverse da quella legale e amministrativa.
Quanto alle facoltà e ai corsi decentrati già esistenti, comma 2, è fatto carico agli organi statutari delle università di rivedere e integrare le convenzioni stipulate con gli Enti Locali e gli altri enti pubblici e privati sottoscrittori, al fine di garantire il funzionamento ordinario delle facoltà e dei corsi per almeno venti anni.
Condizione per il mantenimento di tali corsi è l'acquisizione del parere favorevole del Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU) sulla congruità delle convenzioni così modificate. Nel caso di mancata trasmissione del parere di congruità al Ministero dell'Università e della ricerca entro il 31 dicembre 2007 o , nel caso di parere negativo, i corsi di studio sono disattivati.
L'art. 104 prevede l'istituzione presso il Ministero dello sviluppo economico del Fondo per la competitività e lo sviluppo, nel quale confluiscono le risorse già attribuite al Ministero medesimo per l'innovazione industriale ed ulteriori finanziamenti. Il Ministro dell'università e della ricerca è coinvolto nella individuazione dei contenuti dei progetti di innovazione industriale, finanziati a valere sul nuovo fondo, di cui al comma 2, individuati nell'ambito delle aree tecnologiche dell'efficienza energetica, della mobilità sostenibile, delle nuove tecnologie della vita, delle nuove tecnologie per il made in Italy e delle tecnologie innovative per il patrimonio culturale, Il Ministro UR è inoltre sentito per l'adozione dei progetti e per la definizione delle modalità attuative.
Il comma 11 del medesimo articolo reintroduce i diritti sui brevetti per invenzione industriale e per modelli di utilità e sulla registrazione di disegni e modelli: è tuttavia previsto l'esonero dal pagamento dei diritti di deposito e di trascrizione dei brevetti e dei modelli di utilità, per le università e le amministrazione pubbliche con finalità di ricerca.
L'art. 106 è finalizzato alla razionalizzazione degli interventi nel settore della ricerca scientifica, di competenza del Ministero dell'università e della ricerca, attraverso l'istituzione di un fondo unico denominato Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) in cui, a decorrere dal 2007 confluiranno le risorse dei Fondi gestiti dallo stesso Ministero FAR e FIRB, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di credito agevolato e, per la parte di propria competenza dalle risorse del Fondo aree sottoutilizzate (art. 60 L. 289/2002), assegnate dal CIPE nell'ambito del riparto dell'apposito Fondo. Fino alla data di pubblicazione del decreto del Ministro dell'università e della ricerca, con il quale sono definiti i criteri di gestione del fondo continuano a trovare applicazione le disposizioni vigenti in materia di agevolazioni alla ricerca. Infine, per la fase di avvio del Fondo e per consentire un impatto più incisivo degli interventi in attuazione delle indicazioni del Piano Nazionale della Ricerca, tenendo conto delle linee strategiche per la competitività e lo sviluppo economico, viene assegnata al FIRST una dotazione aggiuntiva di 300 milioni di euro per il triennio 2007-2009.
L'art. 111 prevede il coordinemento delle politiche della ricerca applicata e dell'innovazione tecnologica, con particolare riferimento alla gestione degli incentivi alla ricerca applicata e alla innovazione tecnologica, relativi ai Fondi di competenza dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'università e della ricerca e del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della PCM.
L'art. 120 autorizza un contributo annuo pari a 5 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2007, in favore dell'Agenzia nazionale per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione. La predetta Agenzia, istituita ai sensi dell'art. 1, comma 368, lettera d) della legge n. 266 del 2005 (finanziaria per il 2006) nell'ambito delle innovazioni legislative introdotte in materia di distretti produttivi, è soggetta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ne definisce criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali, sentiti i Ministeri competenti, fra cui il MIUR.
L'art. 137 prevede al comma 3 l'adozione di un piano di sviluppo e di potenziamento degli hub portuali di interesse nazionale e per la determinazione degli importi di spesa destinati a ciascuno di essi, con l'istituzione di un apposito Comitato di cui fa parte anche il Ministro dell'università e della ricerca. Il contributo previsto al comma 1 ammonta a 100 milioni di euro per l'anno 2008 ed è, naturalmente, iscritto nello stato di previsione del Ministero dei trasporti.
L'art. 164 prevede un finanziamento di 20 milioni di euro per il 2007 a favore delle Accademie e delle istituzioni superiori musicali, coreutiche e per le industrie artistiche, di cui 10 milioni di euro per interventi di restauro e ampliamento degli immobili e 10 milioni per il funzionamento amministrativo e didattico.
Con l'art. 190 si prevede la soppressione del finanziamento destinato alla costituzione della Fondazione per la promozione dello sviluppo della ricerca avanzata nel campo delle biotecnologie, di cui all'articolo 1, comma 341, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Si segnala, infine, che per l'anno 2007 non è stata rifinanziata l'iniziativa adottata in via sperimentale dalla scorsa finanziaria per l'anno 2006 (comma 337 della legge n. 266 del 2005), che consentiva di destinare una quota del 5 per mille dell'IRPEF ad alcune finalità, fra cui il finanziamento della ricerca scientifica e dell'università.
L'articolo 35 reca disposizioni sull' organizzazione del Ministero dell'università e della ricerca, che si inseriscono nell'ambito di un più generale programma di contenimento delle spese. La disposizione intende riorganizzare gli Uffici dirigenziali generali, centrali e periferici, del Ministro dell'Università e della ricerca, sopprimendo, in particolare, i Dipartimenti ed istituendo la figura del Segretario Generale.
L'articolo 36 reca interventi per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, prevedendo la costituzione di un'apposita Agenzia Nazionale, che subentra al CSVU e al CIVR, con compiti di valutazione esterna della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici; di indirizzo, coordinamento e vigilanza delle attività di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca; nonché di valutazione dell'efficienza e dell'efficacia dei programmi statali di finanziamento e di incentivazione delle attività di ricerca e di innovazione.
L'intervento si rende necessario, anche in coerenza con quanto dichiarato nel D.P.E.F., a seguito delle profonde modificazioni che hanno interessato tale ambito negli ultimi anni, e che spingono a potenziare il pur importante ruolo svolto dal CSVU e dal CIVR, rafforzandone soprattutto la terzietà: in primo luogo, l'attuazione del principio costituzionale di autonomia delle università e degli enti di ricerca, atteso che non si può scindere l'autonomia dalla responsabilità e la responsabilità dalla valutazione delle scelte effettuate; in secondo luogo, l'accresciuto ruolo territoriale delle università e degli enti di ricerca, lo sviluppo della competizione internazionale e dei collegamenti in rete dei centri universitari e di ricerca per l'accesso ai grandi programmi europei per la ricerca e la formazione superiore, l'accentuata concorrenza tra gli atenei per attrarre sempre più studenti e finanziamenti, che rendono necessario disporre di metodologie, criteri e risultati di valutazione della didattica e della ricerca che possano orientare le scelte di studenti, famiglie, imprese, governo e mondo della cultura; in terzo luogo, l'affermazione dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità della pubblica amministrazione, che riguardano evidentemente anche le università pubbliche.
L'articolo 37 "Disposizioni in materia di ordinamento universitario", prevede al comma 1 , che le Scuole specializzazione per le professioni legali siano di durata biennale anche per coloro che conseguono la laurea specialistica per la classe delle scienze giuridiche sulla base degli ordinamenti didattici adottati in esecuzione decreto 509 del 1999. La disciplina previgente (comma 2-ter dell'articolo 16 del d.lgs. n. 398 del 1997) prevedeva invece che la durata delle predette scuole fosse di un anno per i soggetti in questione e di due anni per coloro che avessero conseguito la laurea in giurisprudenza secondo l'ordinamento didattico previgente al decreto 3 novembre 1999, n. 509. Si prevede inoltre che, a partire dall'anno accademico 2007-2008, l'ordinamento didattico delle predette scuole possa essere articolato sulla durata di un anno, con regolamento del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della giustizia.
Al comma 2, si rende facoltativo il riconoscimento dei crediti formativi, ai fini del conseguimento dei titoli di studio universitari, al personale delle amministrazioni pubbliche che abbia superato il previsto ciclo di studi presso le rispettive scuole di formazione, ivi compresi gli istituti di formazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e delle Forze armate, l'Istituto di perfezionamento della Polizia di Stato, la Scuola di polizia tributaria della Guardia di finanza e la Scuola superiore dell'economia e delle finanze. La disciplina dei requisiti richiesti per il riconoscimento dei crediti, il cui numero non può essere superiore a 60, è rimessa al regolamento didattico degli atenei.
Il comma 3 del medesimo articolo interviene in materia di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, di cui all'articolo 26, comma 5 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria), prevedendo una specifica disciplina delle procedure con regolamento del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, nella quale si prevedano idonei interventi di valutazione dell'attività didattica svolta per via telematica. Fino all'entrata in vigore del predetto regolamento è sospesa l'istituzione di nuove università telematiche.
L'articolo 40, recante "Disposizioni concernenti la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il CIPE" al comma 3 modifica la composizione del CIPE prevedendo che del predetto Comitato facciano parte anche i Ministri dell'università e della ricerca e della pubblica istruzione.
L'articolo 46, proroga di sessanta giorni il termine previsto dall'articolo 29, comma 4 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, per riordinare le commissioni, comitati ed altri organismi collegiali. L'intervento è stato adottato in considerazione dell'imminente scadenza del termine previsto nella norma (1° novembre 2006) e del fatto che gli organismi non riordinati, ai sensi del comma 4, dell'articolo 29, sono automaticamente soppressi "ex lege".

DECRETO MINISTERIALE NUMERO 509/99
“AUTONOMIA DELL’UNIVERSITA’ E RIFORMA DEGLI STUDI UNIVERSITARI”
PUBBLICATO NELLA GAZZETTA UFFICIALE NUMERO 2 DEL 4 GENNAIO 2000

Articolo1 Definizioni
1. Ai sensi del presente regolamento si intende:
a) per Ministro o Ministero, il Ministro o il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica;
b) per decreto o decreti ministeriali, uno o più decreti emanati ai sensi e secondo le procedure di cui all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni;
c) per regolamenti didattici di ateneo, i regolamenti di cui all'articolo 11, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
d) per regolamenti didattici dei corsi di studio, i regolamenti di cui all'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
e) per corsi di studio, i corsi di laurea, di laurea specialistica e di specializzazione, come individuati nell'articolo 3;
f) per titoli di studio, la laurea, la laurea specialistica e il diploma di specializzazione rilasciati al termine dei corrispondenti corsi di studio, come individuati nell'articolo 3;
g) per classe di appartenenza di corsi di studio, l'insieme dei corsi di studio, comunque denominati, raggruppati ai sensi dell'articolo 4;
h) per settori scientifico-disciplinari, i raggruppamenti di discipline di cui al decreto ministeriale 23 giugno 1997, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 1997, e successive modifiche;
i) per ambito disciplinare, un insieme di settori scientifico-disciplinari culturalmente e professionalmente affini, definito dai decreti ministeriali;
l) per credito formativo universitario, la misura del volume di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto ad uno studente in possesso di adeguata preparazione iniziale per l'acquisizione di conoscenze ed abilità nelle attività formative previste dagli ordinamenti didattici dei corsi di studio;
m) per obiettivi formativi, l'insieme di conoscenze e abilità che caratterizzano il profilo culturale e professionale, al conseguimento delle quali il corso di studio è finalizzato;
n) per ordinamento didattico di un corso di studio, l'insieme delle norme che regolano i curricula del corso di studio, come specificato nell'articolo 11;
o) per attività formativa, ogni attività organizzata o prevista dalle università al fine di assicurare la formazione culturale e professionale degli studenti, con riferimento, tra l'altro, ai corsi di insegnamento, ai seminari, alle esercitazioni pratiche o di laboratorio, alle attività didattiche a piccoli gruppi, al tutorato, all'orientamento, ai tirocini, ai progetti, alle tesi, alle attività di studio individuale e di autoapprendimento;
p) per curriculum, l'insieme delle attività formative universitarie ed extrauniversitarie specificate nel regolamento didattico del corso di studio al fine del conseguimento del relativo titolo.
Articolo 2 Finalità
1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni e integrazioni, il presente regolamento detta disposizioni concernenti i criteri generali per l'ordinamento degli studi universitari e determina la tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle università.
2. Ai fini della realizzazione dell'autonomia didattica di cui all'articolo 11 della legge 19 novembre 1990, n. 341, le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità con le disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti ministeriali.
Articolo 3 Titoli e corsi di studio
1. Le università rilasciano i seguenti titoli di primo e di secondo livello:
a) laurea (L)
b) laurea specialistica (LS).
2. Le università rilasciano altresì il diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR).
3. La laurea, la laurea specialistica, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca sono conseguiti al termine, rispettivamente, dei corsi di laurea, di laurea specialistica, di specializzazione e di dottorato di ricerca istituiti dalle università.
4. Il corso di laurea ha l'obiettivo di assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l'acquisizione di specifiche conoscenze professionali.
5. Il corso di laurea specialistica ha l'obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici.
6. Il corso di specializzazione ha l'obiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilità per funzioni richieste nell'esercizio di particolari attività professionali e può essere istituito esclusivamente in applicazione di specifiche norme di legge o di direttive dell'Unione Europea.
7. I corsi di dottorato di ricerca e il conseguimento del relativo titolo sono disciplinati dall'articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, commi 5 e 6.
8. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 19 novembre 1990, n. 341, in materia di formazione finalizzata e di servizi didattici integrativi. In particolare, in attuazione dell'articolo 1, comma 15, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea specialistica, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello.
9. Sulla base di apposite convenzioni, le università italiane possono rilasciare i titoli di cui al presente articolo, anche congiuntamente con altri atenei italiani o stranieri.
Articolo 4 Classi di corsi di studio
1. I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative indispensabili di cui all'articolo 10, comma 1, sono raggruppati in classi di appartenenza, nel seguito denominate classi.
2. Le classi sono individuate da uno o più decreti ministeriali. Trascorso un triennio dall'emanazione dei predetti decreti, modifiche o istituzioni di singole classi possono essere proposte dalle università e, sentito il CUN, determinate con decreto del Ministro unitamente alle connesse disposizioni in materia di obiettivi formativi qualificanti e di conseguenti attività formative.
3. I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale.
Articolo 5 Crediti formativi universitari
1. Al credito formativo universitario, di seguito denominato credito, corrispondono 25 ore di lavoro per studente; con decreto ministeriale si possono motivatamente determinare variazioni in aumento o in diminuzione delle predette ore per singole classi, entro il limite del 20 per cento.
2. La quantità media di lavoro di apprendimento svolto in un anno da uno studente impegnato a tempo pieno negli studi universitari è convenzionalmente fissata in 60 crediti.
3. I decreti ministeriali determinano, altresì, per ciascuna classe di corsi di studio la frazione dell'impegno orario complessivo che deve essere riservata allo studio personale o ad altre attività formative di tipo individuale. Tale frazione non può comunque essere inferiore a metà, salvo nel caso in cui siano previste attività formative ad elevato contenuto sperimentale o pratico.
4. I crediti corrispondenti a ciascuna attività formativa sono acquisiti dallo studente con il superamento dell'esame o di altra forma di verifica del profitto, fermo restando che la valutazione del profitto è effettuata con le modalità di cui all'articolo 11, comma 7, lettera d).
5. Il riconoscimento totale o parziale dei crediti acquisiti da uno studente ai fini della prosecuzione degli studi in altro corso della stessa università ovvero nello stesso o altro corso di altra università, compete alla struttura didattica che accoglie lo studente, con procedure e criteri predeterminati stabiliti nel regolamento didattico di ateneo.
6. I regolamenti didattici di ateneo possono prevedere forme di verifica periodica dei crediti acquisiti, al fine di valutarne la non obsolescenza dei contenuti conoscitivi, e il numero minimo di crediti da acquisire da parte dello studente in tempi determinati, diversificato per studenti impegnati a tempo pieno negli studi universitari o contestualmente impegnati in attività lavorative.
7. Le università possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l'università abbia concorso.
Articolo 6 Requisiti di ammissione ai corsi di studio
1. Per essere ammessi ad un corso di laurea occorre essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. I regolamenti didattici di ateneo, ferme restando le attività di orientamento, coordinate e svolte ai sensi dell'articolo 11, comma 7, lettera g), richiedono altresì il possesso o l'acquisizione di un'adeguata preparazione iniziale. A tal fine gli stessi regolamenti didattici definiscono le conoscenze richieste per l'accesso e ne determinano, ove necessario, le modalità di verifica, anche a conclusione di attività formative propedeutiche, svolte eventualmente in collaborazione con istituti di istruzione secondaria superiore. Se la verifica non è positiva vengono indicati specifici obblighi formativi aggiuntivi da soddisfare nel primo anno di corso. Tali obblighi formativi aggiuntivi sono assegnati anche agli studenti dei corsi di laurea ad accesso programmato che siano stati ammessi ai corsi con una votazione inferiore ad una prefissata votazione minima.
2. Per essere ammessi ad un corso di laurea specialistica occorre essere in possesso della laurea, ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. Nel caso di corsi di laurea specialistica per i quali non sia previsto il numero programmato dalla normativa vigente in materia di accessi ai corsi universitari, occorre, altresì, il possesso di requisiti curriculari e l'adeguatezza della personale preparazione verificata dagli atenei.
3. In deroga al comma 2, i decreti ministeriali possono prevedere l'ammissione ad un corso di laurea specialistica con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, esclusivamente per corsi di studio regolati da normative dell'Unione Europea che non prevedano, per tali corsi, titoli universitari di primo livello, fatta salva la verifica dell'adeguata preparazione iniziale di cui al comma 1.
4. Per essere ammessi ad un corso di specializzazione occorre essere in possesso almeno della laurea, ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. Nel rispetto delle norme e delle direttive di cui all'articolo 3, comma 6, i decreti ministeriali stabiliscono gli specifici requisiti di ammissione ad un corso di specializzazione, ivi compresi gli eventuali crediti formativi universitari aggiuntivi rispetto al titolo di studio già conseguito, purché nei limiti previsti dall'articolo 7, comma 3.
5. Per essere ammessi ad un corso di dottorato di ricerca occorre essere in possesso della laurea specialistica ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero e riconosciuto idoneo.
6. Il riconoscimento dell'idoneità dei titoli di studio conseguiti all'estero ai soli fini dell'ammissione a corsi di studio e di dottorato di ricerca è deliberata dall'università interessata, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti.
Articolo 7 Conseguimento dei titoli di studio
1. Per conseguire la laurea lo studente deve aver acquisito 180 crediti, comprensivi di quelli relativi alla conoscenza obbligatoria di una lingua dell'Unione Europea oltre l'italiano, fatte salve le norme speciali per la tutela delle minoranze linguistiche. La conoscenza deve essere verificata, secondo modalità stabilite dai regolamenti didattici di ateneo, con riferimento ai livelli richiesti per ogni lingua.
2. Per conseguire la laurea specialistica lo studente deve aver acquisito 300 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di laurea specialistica.
3. I decreti ministeriali determinano il numero di crediti che lo studente deve aver acquisito per conseguire il diploma di specializzazione. Tale numero deve essere compreso tra 300 e 360 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di specializzazione. Sono fatte salve le diverse disposizioni previste da specifiche norme di legge o da direttive dell'Unione Europea.
4. Per conseguire il master universitario lo studente deve aver acquisito almeno sessanta crediti oltre a quelli acquisiti per conseguire la laurea o laurea specialistica.
Articolo 8 Durata normale dei corsi di studio
1. Per ogni corso di studio è definita una durata normale in anni, proporzionale al numero totale di crediti di cui all'articolo 7, tenendo conto che ad un anno corrispondono sessanta crediti ai sensi del comma 2 dell'articolo 5.
2. La durata normale dei corsi di laurea è di tre anni; la durata normale dei corsi di laurea specialistica è di ulteriori due anni dopo la laurea.
Articolo 9 Istituzione e attivazione dei corsi di studio
1. La procedura per l'istituzione dei corsi di studio è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25.
2. Con autonome deliberazioni le università attivano o disattivano i corsi di studio istituiti ai sensi del comma 1, dandone comunicazione al Ministero. Nel caso di disattivazioni, le università assicurano comunque la possibilità per gli studenti già iscritti di concludere gli studi conseguendo il relativo titolo e disciplinano la facoltà per gli studenti di optare per l'iscrizione ad altri corsi di studio attivati.
3. Una università può istituire un corso di laurea specialistica a condizione di aver attivato un corso di laurea comprendente almeno un curriculum i cui crediti formativi universitari siano integralmente riconosciuti per il corso di laurea specialistica, con l'eccezione dei corsi di cui all'articolo 6, comma 3. Sulla base di una specifica convenzione tra gli atenei interessati, il corso di laurea può essere attivato presso un'altra università.
4. All'atto dell'istituzione di un corso di laurea, l'ordinamento didattico stabilisce quali crediti acquisiti saranno riconosciuti validi per l'eventuale prosecuzione degli studi universitari in altri corsi di studio attivati presso la medesima università, nonché, sulla base di specifiche convenzioni, presso altre università.
Articolo 10 Obiettivi e attività formative qualificanti delle classi
1. I decreti ministeriali individuano preliminarmente, per ogni classe di corsi di studio, gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili per conseguirli, raggruppandole in sei tipologie: a) attività formative in uno o più ambiti disciplinari relativi alla formazione di base;
b) attività formative in uno o più ambiti disciplinari caratterizzanti la classe;
c) attività formative in uno o più ambiti disciplinari affini o integrativi di quelli caratterizzanti, con particolare riguardo alle culture di contesto e alla formazione interdisciplinare;
d) attività formative autonomamente scelte dallo studente;
e) attività formative relative alla preparazione della prova finale per il conseguimento del titolo di studio e, con riferimento alla laurea, alla verifica della conoscenza della lingua straniera ;
f) attività formative, non previste dalle lettere precedenti, volte ad acquisire ulteriori conoscenze linguistiche, nonchè abilità informatiche e telematiche, relazionali, o comunque utili per l'inserimento nel mondo del lavoro, nonché attività formative volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso, tra cui, in particolare, i tirocini formativi e di orientamento di cui al decreto del Ministero del Lavoro 25 marzo 1998, n. 142.
2. I decreti ministeriali determinano altresì, per ciascuna classe, il numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici riservano ad ogni attività formativa e ad ogni ambito disciplinare di cui al comma 1, rispettando i seguenti vincoli percentuali sul totale dei crediti necessari per conseguire il titolo di studio:
a) la somma totale dei crediti riservati non potrà essere superiore al 66 per cento;
b) le somme dei crediti riservati, relativi alle attività di cui alle lettere a), b), c) e alle lettere d), e), f) del comma 1 non potranno essere superiori, rispettivamente, al 50 per cento e al 20 per cento;
c) i crediti riservati, relativi alle attività di ognuna delle tipologie di cui alle lettere a), b), c) e d), e), f) del comma 1 non potranno essere inferiori, rispettivamente, al 10 e al 5 per cento.
Articolo 11 Regolamenti didattici di ateneo
1. Le università disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio nei regolamenti didattici di ateneo che sono redatti nel rispetto, per ogni corso di studio, delle disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti ministeriali, e che sono approvati dal Ministro ai sensi dell'articolo 11, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341.
2. I regolamenti didattici di ateneo e le relative modifiche sono emanati con decreto rettorale e sono resi noti anche con le modalità di cui all'articolo 17, comma 95, lettera b), della legge 15 maggio 1997, n. 127. L'entrata in vigore degli ordinamenti didattici è stabilita nel decreto rettorale di emanazione.
3. Ogni ordinamento didattico determina:
a) le denominazioni e gli obiettivi formativi dei corsi di studio, indicando le relative classi di appartenenza;
b) il quadro generale delle attività formative da inserire nei curricula;
c) i crediti assegnati a ciascuna attività formativa, riferendoli, per quanto riguarda quelle previste nelle lettere a), b), c) dell'articolo 10, comma 1, ad uno o più settori scientifico-disciplinari nel loro complesso;
d) le caratteristiche della prova finale per il conseguimento del titolo di studio.
4. Le determinazioni di cui al comma 3, lettere a) e b), sono assunte dalle università previa consultazione con le organizzazioni rappresentative a livello locale del mondo della produzione, dei servizi e delle professioni.
5. Per il conseguimento della laurea specialistica deve comunque essere prevista la presentazione di una tesi elaborata in modo originale dallo studente sotto la guida di un relatore.
6. Il regolamento didattico di ateneo può prevedere più corsi di studio appartenenti alla medesima classe.
7. I regolamenti didattici di ateneo, nel rispetto degli statuti, disciplinano altresì gli aspetti di organizzazione dell'attività didattica comuni ai corsi di studio, con particolare riferimento:
a) agli obiettivi, ai tempi e ai modi con cui le competenti strutture didattiche provvedono collegialmente alla programmazione, al coordinamento e alla verifica dei risultati delle attività formative;
b) alle procedure di attribuzione dei compiti didattici annuali ai professori e ai ricercatori universitari, ivi comprese le attività didattiche integrative, di orientamento e di tutorato;
c) alle procedure per lo svolgimento degli esami e delle altre verifiche di profitto, nonché della prova finale per il conseguimento del titolo di studio;
d) alle modalità con cui si perviene alla valutazione del profitto individuale dello studente, che deve comunque essere espressa mediante una votazione in trentesimi per gli esami e in centodecimi per la prova finale, con eventuale lode;
e) alla valutazione della preparazione iniziale degli studenti che accedono ai corsi di laurea e ai corsi di laurea specialistica;
f) all'organizzazione di attività formative propedeutiche alla valutazione della preparazione iniziale degli studenti che accedono ai corsi di laurea, nonché di quelle relative agli obblighi formativi aggiuntivi di cui al comma 1 dell'articolo 6;
g) all'introduzione di un servizio di ateneo per il coordinamento delle attività di orientamento, da svolgere in collaborazione con gli istituti d'istruzione secondaria superiore, nonchè in ogni corso di studio, di un servizio di tutorato per gli studenti;
h) all'eventuale introduzione di apposite modalità organizzative delle attività formative per studenti non impegnati a tempo pieno;
i) alle modalità di individuazione, per ogni attività, della struttura o della singola persona che ne assume la responsabilità;
l) alla valutazione della qualità delle attività svolte;
m) alle forme di pubblicità dei procedimenti e delle decisioni assunte;
n) alle modalità per il rilascio dei titoli congiunti di cui all'articolo 3, comma 9.
8. I regolamenti didattici di ateneo disciplinano le modalità con cui le università rilasciano, come supplemento al diploma di ogni titolo di studio, un certificato che riporta, secondo modelli conformi a quelli adottati dai paesi europei, le principali indicazioni relative al curriculum specifico seguito dallo studente per conseguire il titolo.
9. Le università, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del presente regolamento, di successivi decreti ministeriali e dei regolamenti didattici di ateneo. Per l'elaborazione di valutazioni statistiche omogenee sulle carriere degli studenti universitari, il Ministro, con propri decreti, individua i dati essenziali che devono essere presenti nei sistemi informativi sulle carriere degli studenti di tutte le università.
Articolo 12 Regolamenti didattici dei corsi di studio
1. In base all'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, il regolamento didattico di un corso di studio, deliberato dalla competente struttura didattica in conformità con l'ordinamento didattico nel rispetto della libertà d'insegnamento, nonchè dei diritti e doveri dei docenti e degli studenti, specifica gli aspetti organizzativi del corso di studio. Il regolamento è approvato con le procedure previste nello statuto dell'ateneo.
2. Il regolamento didattico di un corso di studio determina in particolare:
a) l'elenco degli insegnamenti, con l'indicazione dei settori scientifico-disciplinari di riferimento e dell'eventuale articolazione in moduli, nonché delle altre attività formative;
b) gli obiettivi formativi specifici, i crediti e le eventuali propedeuticità di ogni insegnamento e di ogni altra attività formativa;
c) i curricula offerti agli studenti e le regole di presentazione, ove necessario, dei piani di studio individuali;
d) la tipologia delle forme didattiche, anche a distanza, degli esami e delle altre verifiche del profitto degli studenti;
e) le disposizioni sugli eventuali obblighi di frequenza.
3. Le disposizioni dei regolamenti didattici dei corsi di studio concernenti la coerenza tra i crediti assegnati alle attività formative e gli specifici obiettivi formativi programmati sono deliberate dalle competenti strutture didattiche, previo parere favorevole di commissioni didattiche paritetiche o di altre analoghe strutture di rappresentanza studentesca. Qualora il parere non sia favorevole la deliberazione è assunta dal senato accademico. Il parere è reso entro trenta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine la deliberazione è adottata prescindendosi dal parere.
4. Le università assicurano la periodica revisione dei regolamenti didattici dei corsi di studio, in particolare per quanto riguarda il numero dei crediti assegnati ad ogni insegnamento o altra attività formativa. Art. 13 Norme transitorie e finali
1. Le università adeguano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio alle disposizioni del presente regolamento e del decreto ministeriale che individua le classi relative ai predetti corsi entro diciotto mesi dalla pubblicazione del medesimo decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
2. Le università assicurano la conclusione dei corsi di studio e il rilascio dei relativi titoli, secondo gli ordinamenti didattici vigenti, agli studenti già iscritti alla data di entrata in vigore dei nuovi ordinamenti didattici e disciplinano altresì la facoltà per gli studenti di optare per l'iscrizione a corsi di studio con i nuovi ordinamenti. Ai fini dell'opzione le università riformulano in termini di crediti gli ordinamenti didattici vigenti e le carriere degli studenti già iscritti.
3. Gli studi compiuti per conseguire i diplomi universitari in base ai previgenti ordinamenti didattici sono valutati in crediti e riconosciuti dalle università per il conseguimento della laurea di cui all'articolo 3, comma 1. La stessa norma si applica agli studi compiuti per conseguire i diplomi delle scuole dirette a fini speciali istituite presso le università, qualunque ne sia la durata.
4. L'istituzione da parte di un'università dei corsi di laurea e di laurea specialistica di cui all'articolo 3, comma 1, aventi la stessa denominazione di corsi di diploma universitario o di laurea già attivati nell'anno accademico 1996/97, ovvero istituiti dalle università ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25, costituisce attuazione dell'obiettivo del sistema universitario per il triennio 1998/2000 di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d) del decreto ministeriale 6 marzo 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9 aprile 1998, e non comporta il ricorso alla procedura di cui all'articolo 9, comma 1.
5. Ai sensi dell'articolo 17, comma 101, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall'articolo 1, comma 15, lettera b), della legge 14 gennaio 1999, n. 4, la disposizione di cui al comma 4 si applica altresì ai corsi di diploma universitario o di laurea attivati sperimentalmente dalle università negli anni accademici 1997/98 e 1998/99, purché risulti acquisito il parere favorevole del comitato regionale di coordinamento.
6. Fatte salve le scuole presso le quali sono attivati i corsi di specializzazione di cui all'articolo 3, comma 6, le scuole di specializzazione attualmente istituite sono disattivate entro il terzo anno accademico successivo a quello di entrata in vigore del presente regolamento. La relativa formazione specialistica è assicurata da corsi di laurea specialistica o di dottorato di ricerca, nonchè dai corsi di formazione finalizzata e integrativa di cui all'articolo 3, comma 8.

Capo I
INDAGINE – DISCUSSIONE SULLA LEGISLAZIONE (a cura di Matteo Braga)

Il livello di istruzione e il sottoutilizzo della forza lavoro
Gli occupati per titolo di studio e professione in Europa e in Italia

In Italia il complesso dell’occupazione continua a caratterizzarsi per un livello di istruzione modesto in confronto alla media europea, nonostante i progressi registrati a seguito dell’entrata nel mercato del lavoro di giovani con più elevato titolo di studio e l’uscita di individui con livello di istruzione inferiore. Nell’ultimo decennio la quota di occupati con un titolo di studio superiore al diploma è passato dal 9,6 al 14,4 per cento (+49,7 per cento). Malgrado ciò lo svantaggio rispetto alla media dei paesi europei rimane ancora forte: l’Italia si colloca agli ultimi posti per quota di occupati con titolo di studio post-secondario.
Contestualmente all’innalzamento del titolo di studio, anche le professioni registrano una traiettoria ascendente, orientata sempre più verso quelle ad alta specializzazione e tecniche. Nel 2005 la quota di lavoratori più qualificati rappresenta in Italia poco meno di un terzo delle forze lavoro occupate, proporzione sostanzialmente in linea con quella dell’Europa a 25. Dieci anni prima la quota italiana era del 23,8 per cento.
Più in particolare, tra le professioni ad alta specializzazione per l’Italia l’incidenza sul totale degli occupati rimane ancora inferiore alla media comunitaria, mentre le professioni tecniche fanno registrare una incidenza maggiore nel nostro Paese.

Il legame tra titolo di studio e professione
La mancata corrispondenza tra le caratteristiche della forza lavoro occupata (con particolare riferimento al più elevato titolo di studio posseduto) e quelle della professione svolta può generare un utilizzo inefficiente dell’input di lavoro nei processi produttivi e segnalare uno scollamento tra il risultato del sistema formativo e la domanda di lavoro.
A partire dalla classificazione internazionale delle professioni che ordina i gruppi in relazione al livello di abilità e competenze per svolgere il lavoro, l’incrocio tra il titolo di studio conseguito e la professione svolta è la base per fornire una quantificazione del fenomeno.
Questa analisi deve tener conto del fatto che, nel corso degli anni, cambiano i contenuti del lavoro e l’introduzione di nuove tecnologie rende il lavoro più complesso. Ciò comporta un progressivo aumento della preparazione necessaria per svolgere gran parte delle professioni. Infine, la mancata corrispondenza tra titolo di studio e inquadramento professionale può dipendere, soprattutto se protratta nel tempo, da una valutazione implicita da parte delle imprese di debolezza del sistema formativo.
Nondimeno si conferma la validità di fondo della logica che associa la professione a determinati titoli di studio, in quanto rimane forte l’associazione tra queste due variabili . È sulla base di questa associazione verificata nel caso italiano (piuttosto che sulle definizioni a priori dei contenuti di istruzione per ciascuna professione definiti dalla Isco-88) che viene condotta l’analisi che segue.
Per tre quarti degli occupati, 16,6 milioni di persone, si registra una corrispondenza tra il titolo di studio conseguito e la professione esercitata. Nel rimanente quarto dei casi si riscontra invece una mancata corrispondenza tra le due variabili. Le aree riquadrate mostrano rispettivamente gli occupati che esercitano un lavoro relativamente più qualificato in confronto al titolo di studio conseguito (fenomeno del sovrainquadramento) e, all’opposto, gli occupati che possiedono un titolo superiore a quello mmaggiormente richiesto per svolgere quella professione (fenomeno del sottoinquadramento). Più in particolare 1,9 milioni di occupati (il 9,0 per cento del totale) svolgono un lavoro relativamente più qualificato in confronto al titolo di studio conseguito. Un numero quasi doppio di occupati (3,7 milioni pari al 16,5 per cento del totale) possiede invece un titolo superiore a quello maggiormente richiesto per svolgere quella professione.
Le caratteristiche di chi svolge un lavoro adeguato rispetto al titolo di studio conseguito riflettono sostanzialmente quelle dell’occupazione complessiva. Va messa in luce, peraltro, la peculiarità degli occupati nel primo gruppo professionale, per il quale si registra un’alta concentrazione di lavoratori sia tra chi è in possesso di un diploma di 4-5 anni sia tra coloro che hanno conseguito la licenza media. Nella quasi totalità dei casi si tratta di imprenditori, gestori, responsabili di piccole imprese. Tale risultato riflette in parte una delle caratteristiche peculiari del tessuto produttivo italiano composto da piccoli imprenditori, soprattutto delle generazioni più anziane, con un modesto titolo di studio che spesso non supera la licenza media.
Con riferimento al fenomeno del sovrainquadramento, si tratta in maggioranza di uomini con almeno quaranta anni di età e soprattutto che hanno iniziato l’attuale attività lavorativa da molti anni (in oltre metà dei casi da più di dieci anni). Questi occupati hanno acquisito le competenze necessarie a svolgere l’attuale lavoro principalmente tramite percorsi alternativi a quello dell’istruzione formale. L’esperienza maturata nel lavoro risulta la risorsa principale. Le professioni più rappresentate sono: specialisti della gestione e del controllo (ispettore di gestione, ispettore amministrativo eccetera), informatico specializzato, giornalista e le professioni artistiche (pittore, regista eccetera).
All’opposto, tra i circa 3,7 milioni di occupati che svolgono un lavoro sottoinquadrato,
oltre la metà sono giovani fino a 34 anni che hanno iniziato a lavorare da non più di cinque anni. Ciò riflette una certa difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro da parte dei giovani, almeno inizialmente occupati in professioni dove il livello di competenze richiesto è inferiore rispetto al titolo di studio conseguito. Inoltre, la domanda di lavoro ai fini dell’inquadramento tende ad assegnare un peso importante alla conoscenza informale e al training on the job.
Tuttavia, in più di un terzo dei casi si tratta di soggetti con età compresa tra 35 e 49 anni; e circa un lavoratore sottoinquadrato su dieci ha un’età più elevata: in questi casi l’esistenza di un sottoinquadramento sembra più consolidata.
A conferma di quanto detto sussiste una relazione molto netta tra la distanza dall’anno di conseguimento del titolo di studio e la probabilità di trovare un lavoro non adeguato al livello di istruzione: si passa dal 50,8 per cento dei soggetti che hanno conseguito il titolo negli ultimi due anni, al 9,1 per cento di coloro che possiedono l’attuale titolo di studio da almeno dieci anni. Lo stesso andamento, ma in direzione opposta, si registra per la durata dell’attività lavorativa: la quota di occupati che svolgono un lavoro relativamente meno qualificato diminuisce progressivamente (dal 25,4 per cento tra chi ha iniziato l’ultima attività lavorativa da non più di un anno al 9,5 per cento per chi svolge l’attuale lavoro da oltre dieci anni). Contestualmente, la quota di occupati che svolgono un lavoro adeguato al livello di istruzione e di coloro che possiedono un titolo di studio più basso di quello prevalente aumentano progressivamente, fino a raggiungere rispettivamente il 78,9 per cento e l’11,6 per cento tra chi svolge l’attuale attività lavorativa da oltre dieci anni.
Peraltro, la mancanza di un lavoro adeguato al livello di istruzione sembra in parte legarsi alla scarsa spendibilità nel mercato del lavoro del tipo di preparazione acquisita durante il percorso di studi. Tra i laureati in studi umanistici e sociali e quelli in scienze economico-statistiche, che pure trovano lavoro più rapidamente dopo la laurea, la quota di coloro che svolgono un lavoro sottoinquadrato è quasi il doppio rispetto ai colleghi laureati in discipline scientifiche o in ingegneria (rispettivamente 44,0 e 48,8 a fronte del 26,1 e del 25,3 per cento). È meno frequente il fenomeno del lavoro sottoinquadrato anche tra i laureati dei gruppi medico e giuridico. Le professioni prevalenti dei laureati sottoinquadrati sono quelle di tecnico informatico, contabile, personale di segreteria e tecnico di vendita.
In relazione al diploma secondario di 4-5 anni i più svantaggiati risultano i soggetti con diploma professionale, mentre non si riscontrano forti differenze distinguendo tra i licei e gli istituti tecnici. In questo caso le professioni più rappresentative sono: commesso, barista, cameriere, muratore, elettricista, meccanico e conduttore di veicoli (tassista, camionista eccetera). Da segnalare, infine, il peso che registrano anche alcune professioni non qualificate (quali facchino, fattorino, bidello e collaboratore domestico).

I giovani e il mercato del lavoro
Il difficile rapporto tra i giovani europei e il mercato del lavoro

Le difficoltà di inserimento lavorativo sono comuni ai giovani dell’Unione europea e si manifestano con indicatori peggiori rispetto a quelli relativi alla popolazione adulta. Con riferimento alla Ue a 25 paesi, considerando la classe di età 20-29 anni, nel 2005 i giovani presentano infatti tassi di attività e di occupazione sensibilmente inferiori a quelli degli individui adulti di età compresa tra 30 e 54 anni19 (rispettivamente del 73,5 e del 63,2 per cento a fronte dell’84,2 e del 77,9 per cento). I giovani al di sotto dei trent’anni presentano inoltre tassi di disoccupazione del 14,0 per cento, 6,5 punti percentuali in più rispetto a quello degli adulti sino a 54 anni.
Lo svantaggio dei giovani rispetto agli adulti è comune a tutta l’Unione a 25, sebbene sussistano notevoli differenze tra i diversi paesi che ne fanno parte. Tra i principali paesi dell’Ue, i differenziali tra giovani e adulti nei tassi di attività e di occupazione sono relativamente contenuti per la Spagna e il Regno Unito, dove la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro è superiore a quella media. I differenziali sono invece decisamente al di sopra della media europea per la Francia e l’Italia. La similitudine nei differenziali tra i due paesi sottende peraltro situazioni profondamente differenti. In confronto all’Ue a 25, la Francia presenta infatti tassi di attività e di occupazione leggermente inferiori per i giovani, ma decisamente più elevati per gli adulti. L’Italia invece denota valori ben al di sotto della media europea sia per i giovani sia per gli adulti, con un ritardo per i primi di quasi dieci punti percentuali per entrambi gli indicatori.
Guardando al tasso di disoccupazione, il differenziale tra i giovani di 20-29 anni e gli adulti di 30-54 anni è nuovamente contenuto per il Regno Unito, dove l’incidenza delle persone in cerca di occupazione sul totale delle forze di lavoro è relativamente bassa sia per i giovani sia per gli adulti. Il differenziale è limitato anche per la Germania, che però presenta tassi di disoccupazione più elevati rispetto alla media europea, in special modo per gli adulti. La Spagna presenta invece valori vicini a quelli dei 25 paesi dell’Unione complessivamente considerati, denotando quindi rispetto al Regno Unito maggiori difficoltà a offrire opportunità occupazionali a coloro che si presentano sul mercato del lavoro. Ancora una volta, i giovani di Francia e Italia subiscono uno svantaggio, rispetto ai connazionali adulti, maggiore della media Ue, con tassi di disoccupazione giovanile pari o superiori al 15 per cento.
Lo svantaggio dei giovani rispetto agli adulti è più accentuato per i maschi che per le femmine. Nell’Unione europea a 25 il divario tra il tasso di attività dei giovani di 20-29 anni e quello degli adulti di 30-54 anni è di 13 punti percentuali per i maschi e di 8,5 punti percentuali per le femmine. Il gap è ancora più ampio per il tasso di occupazione (pari a 17,6 punti percentuali per i maschi e a 12 punti percentuali per le femmine). Il minore differenziale tra giovani e adulti che caratterizza la componente femminile non riflette migliori condizioni di accesso al mercato del lavoro da parte delle ragazze ma, piuttosto, livelli di partecipazione inferiori, secondo un modello universalmente diffuso nei paesi dell’Unione.
Il nostro paese presenta, nella Ue a 25, il più elevato divario tra giovani e adulti di sesso maschile, sia per il tasso di attività (pari a 20,3 punti percentuali) sia per quello di occupazione (pari a 26,1 punti percentuali). A tassi tra i più ridotti per i giovani di 20-29 anni si contrappongono valori al di sopra della media per gli adulti di 30-54 anni. Per le donne i differenziali tra giovani e adulte sono più contenuti, sebbene risultino superiori a quelli medi europei. Questo è il risultato di tassi di partecipazione particolarmente bassi: i meno elevati tra i 25 paesi dell’Unione europea per le ragazze e tra i più bassi per le donne di almeno 30 anni.
Le maggiori difficoltà di inserimento lavorativo delle donne si manifestano in tassi di disoccupazione più elevati rispetto agli uomini. Peraltro, mentre nella media europea le differenze di genere sono relativamente contenute, l’Italia presenta tassi di disoccupazione femminile sensibilmente più elevati rispetto a quelli maschili sia per i giovani sia per gli adulti.
Il sistema di istruzione e l’efficienza del collegamento con il mercato del lavoro costituiscono fattori determinanti nelle possibilità di accesso dei giovani al lavoro. Nell’Ue a 25 più elevati livelli di istruzione assicurano maggiori probabilità di occupazione e minori rischi di disoccupazione già per le classi giovanili. In particolare, la laurea costituisce un indiscusso vantaggio competitivo rispetto ai livelli di istruzione inferiori.
Infatti, per i giovani di 20-29 anni il tasso di occupazione passa dal 57,0 per cento per coloro che hanno conseguito un titolo inferiore, al 61,0 per cento per quelli con un titolo secondario, al 75,3 per cento per i laureati. Il tasso di disoccupazione ha un andamento speculare e si riduce dal 20,5 per cento per i livelli di istruzione più bassi al 9,3 per cento per quelli più elevati.
Dal confronto della situazione italiana con quella degli altri paesi europei emerge che per l’Italia il tasso di occupazione dei giovani di 20-29 anni con un livello di istruzione secondario è tra i più bassi d’Europa (pari al 53,3 per cento), mentre quello dei giovani laureati, pari al 50,2 per cento, è il più basso in assoluto, inferiore di oltre 25 punti percentuali a quello medio dell’Unione, anche per effetto di un’età media più avanzata di conseguimento del titolo.
Più in particolare, l’Italia è tra i pochi paesi dell’Unione europea dove il tasso di occupazione dei giovani di 20-29 anni con basso titolo di studio è più elevato rispetto a quelli con un livello di istruzione intermedio. Gli altri paesi, tra i quali la Spagna, presentano tassi di occupazione per questo specifico gruppo al di sopra della media europea, mentre l’Italia fa eccezione con un tasso sostanzialmente in linea con quello dell’Ue a 25. L’Italia è invece l’unico paese dove il tasso di occupazione dei giovani laureati è inferiore a quello dei coetanei con un livello di istruzione inferiore.
Il tasso di disoccupazione dei laureati italiani tra 20 e 29 anni è pari al 23,9 per cento, di gran lunga il più elevato tra i 25 paesi dell’Unione europea. Tale valore è inoltre decisamente superiore rispetto a quello dei giovani italiani con livelli di istruzione più bassi. Nel nostro Paese, infatti, la laurea riduce la probabilità di rimanere disoccupati soltanto dopo i 30 anni.
In gran parte dei paesi europei i giovani sono largamente coinvolti in forme di lavoro
flessibili. Le forme contrattuali a tempo determinato, infatti, sono ormai la normale mvia di accesso al lavoro, tanto che nella media europea i giovani di 20-29 anni con contratti a termine sono il 27,6 per cento dei dipendenti Il lavoro a termine coinvolge in modo sostanzialmente analogo uomini e donne. I diversi contesti istituzionali che caratterizzano i paesi europei influiscono peraltro in modo rilevante sulla diffusione del lavoro flessibile. Com’è noto la Spagna, che partiva da livelli di reddito e di occupazione nettamente inferiori a quelli dei principali partner europei, in passato ha puntato molto su forme contrattuali a termine per colmare questi divari. Come risultato oggi un terzo dei lavoratori dipendenti tra 15 e 64 anni è a termine. Per i giovani al di sotto dei 30 anni l’incidenza è superiore al 50 per cento, ma forme contrattuali flessibili continuano a coinvolgere ampiamente i lavoratori spagnoli anche in età adulta.
Situazione diversa si riscontra invece in Germania, dove il lavoro flessibile riguarda circa un terzo dei giovani tra 20 e 29 anni, ma solo il 6,5 per cento degli adulti fino a 54 anni. In questo caso il lavoro a termine sembra effettivamente essere utilizzato come via di accesso al lavoro che porta a situazioni contrattuali standard in tempi brevi.
Tra i principali paesi europei, il Regno Unito ha un’incidenza del lavoro a termine particolarmente contenuta, pari al 5,4 per cento dei dipendenti in età lavorativa e al 7,7 per cento dei giovani. La diffusione relativamente scarsa del lavoro a tempo determinato è da ricondurre alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro britannico, dove il lavoro a tempo indeterminato è meno protetto che in altri paesi.
L’Italia presenta incidenze del lavoro a termine al di sotto della media europea, sia per i giovani sia per gli adulti. Nondimeno, il nostro Paese è l’unico, tra i principali partner dell’Unione, in cui sussistono significative differenze di genere: per i giovani tra 20 e 29 anni l’incidenza del lavoro a termine per la componente femminile è infatti di 5,5 punti percentuali più elevata che per quella maschile.
Anche il lavoro part time presenta incidenze elevate tra i giovani. Nella media dell’Unione europea i lavoratori dipendenti tra 15 e 64 anni a orario ridotto sono il 18,7 per cento del totale, con incidenze simili per giovani (16,5 per cento) e adulti (17,6 per cento). Giovani e adulti hanno però differenti attitudini verso il lavoro a tempo parziale. L’incidenza del part time involontario, ovvero di quanti lavorano a orario ridotto perché non hanno trovato un lavoro a tempo pieno, è infatti del 31,0 per cento per i primi e del 20,2 per cento per i secondi.ù
La diffusione dei contratti part time è del resto un fenomeno fortemente connotato al femminile per tutte le fasce di età. In complesso e per gran parte dei paesi membri l’incidenza del part time è più elevata per le donne adulte, maggiormente gravate da responsabilità familiari, che in larga parte (per oltre l’80 per cento) gradiscono questo orario di lavoro. Al contrario, il part time è vissuto come un ripiego da quasi un terzo delle donne più giovani. Per la componente maschile, invece, l’incidenza del lavoro part time nel totale della Ue a 25 coinvolge, in buona parte loro malgrado, il 9,3 per cento dei giovani, e solo il 4,0 per cento degli adulti.
Sebbene la diffusione del lavoro a tempo parziale differisca sensibilmente tra i diversi paesi europei, per le classi di età giovanili i principali paesi Ue presentano differenze limitate, in particolare per la componente femminile.
Differenze significative emergono invece guardando alla volontarietà del lavoro a tempo parziale. Il peso del part time involontario è infatti relativamente contenuto nel Regno Unito, sia per i giovani sia per gli adulti; è sostanzialmente in linea con quello medio dell’Unione per la Germania; è superiore alla media europea in Francia, specialmente per le donne giovani, e in Spagna, in particolare per le donne senza distinzione di età.
Il ricorso al part time come strumento di flessibilità del lavoro è particolarmente accentuato nelle imprese italiane. Il nostro paese presenta la più alta incidenza di part time involontario tra i principali partner dell’Unione. Tra gli occupati part time tra 15 e 64 anni, il 42,2 per cento non ha infatti trovato un lavoro a tempo pieno, contro il 20,8 per cento della media europea. In Italia le donne tra 30 e 54 anni che vorrebbero lavorare a tempo pieno sono circa un terzo di quelle che lavorano a orario ridotto, contro il 18 per cento della media Ue. Tra i giovani, l’incidenza del part time involontario è intorno al 60 per cento sia per gli uomini sia per le donne, circa il doppio rispetto a quella dei 25 paesi dell’Unione complessivamente considerati.

L’influenza delle caratteristiche individuali e del sostegno familiare sulla partecipazione dei giovani italiani al mercato del lavoro

Le caratteristiche individuali, al pari del contesto territoriale e di quello familiare, esercitano una rilevante influenza sui percorsi di studio e di carriera dei giovani. I livelli di partecipazione, la probabilità di trovare un lavoro, la forma contrattuale stabile o a termine dei giovani variano, infatti, in relazione al genere, al livello di istruzione, all’area geografica di residenza, al sostegno economico e culturale apportato dalla famiglia. Con riferimento a quest’ultimo elemento, un maggiore sostegno familiare consente ai giovani di intraprendere percorsi di studi più lunghi, da un lato, e, dall’altro, permette loro di discriminare tra le opportunità occupazionali che si presentano, anche qualora questo dovesse comportare attese più lunghe.
Con riferimento alla partecipazione al mercato del lavoro, il livello di istruzione contribuisce a determinare la condizione dei giovani nel mercato del lavoro. Il precoce ingresso nel mercato del lavoro da parte di coloro che si sono fermati alla scuola dell’obbligo si riflette in elevati tassi di attività e di occupazione. D’altro canto, però, i giovani con un basso titolo di studio presentano anche una maggiore propensione a rimanere al di fuori sia dal mercato del lavoro sia dai percorsi formativi.
La tendenza è sensibilmente più accentuata per le donne. Si trovano infatti in questa situazione il 43,6 per cento delle giovani con al più la licenza media (contro il 13,6 per cento dei coetanei con pari livello di istruzione) e le giovani del Mezzogiorno (32,2 per cento, più del doppio del valore delle giovani che risiedono nelle altre ripartizioni).
Inoltre, essi incontrano maggiori difficoltà a trovare una nuova occupazione, soprattutto nel caso in cui abbiano perso un precedente lavoro.
Per quanto riguarda i laureati, le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro sottolineate nel precedente paragrafo si manifestano con un minore tasso di occupazione e una maggiore incidenza della disoccupazione rispetto ai coetanei con titoli di studio inferiori. Particolarmente problematica si rivela la ricerca del primo lavoro. L’elevata propensione a proseguire gli studi, scelta effettuata da oltre il 20 per cento dei giovani laureati, può verosimilmente inserirsi nell’ambito di una strategia di attesa di un lavoro adeguato al livello formativo acquisito.
Nonostante l’evoluzione dei modelli culturali che hanno portato a un progressivo innalzamento della partecipazione femminile, anche tra i giovani permangono significative differenze di genere. Il divario tra il tasso di attività degli uomini tra 20 e 29 anni e quello delle coetanee (il primo superiore al 70 per cento, il secondo inferiore al 56 per cento), da un lato riflette una maggiore propensione della componente femminile a proseguire gli studi, dall’altro testimonia la persistenza di modelli tradizionali basati sulla divisione dei ruoli familiari e la ricomparsa del fenomeno dello scoraggiamento. La maggiore incidenza di persone in cerca di lavoro tra le ragazze di 20-29 anni rispetto ai giovani coetanei segnala inoltre che, anche quando decidono di lavorare, le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un’occupazione.
La partecipazione dei giovani al mercato del lavoro risente inoltre sensibilmente del contesto territoriale. Sono infatti occupati oltre i due terzi dei giovani di 20-29 anni che risiedono nelle regioni del Nord e poco più di un terzo dei giovani meridionali. Coerentemente con le condizioni generali del mercato del lavoro, i giovani del Mezzogiorno risultano anche più spesso disoccupati e incontrano maggiori difficoltà sia nel trovare il primo lavoro, sia a trovarne uno in caso abbiano già maturato precedenti esperienze. L’incidenza particolarmente elevata dei giovani che non partecipano al mercato del lavoro e sono comunque al di fuori di percorsi formativi plausibilmente incorpora un effetto di scoraggiamento, che coinvolge in particolare la componente femminile.
Anche le forme di accesso al mercato del lavoro non sono indipendenti dalle caratteristiche degli individui e dal contesto in cui risiedono. Se infatti l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro avviene spesso attraverso forme contrattuali a termine22, la probabilità di sottoporsi alla “gavetta del precariato” non è uniforme per tutti gli individui. Le donne, che presentano una più elevata incidenza del lavoro a tempo determinato, vengono assunte con forme contrattuali flessibili più spesso degli uomini. La flessibilità sembra essere inoltre la naturale via di accesso al lavoro dei giovani con i titoli di studio più elevati. Tra i laureati, infatti, sono a termine quasi i due terzi dei neoassunti. A livello territoriale, il Mezzogiorno si distingue dalle altre aree del paese per una quota inferiore di entrata nell’occupazione nel corso di un anno (dei circa 2 milioni di giovani non occupati nel 2004 solamente il 13,7 per cento risulta occupato nel 2005, con una leggera prevalenza dei contratti a tempo indeterminato).
L’ampia diffusione tra i giovani del lavoro a termine ha accentuato il ruolo della famiglia nell’assicurare un sostegno economico. La debolezza della spesa pubblica per la protezione sociale assegnata alla funzione lavoro (che include la gran parte degli ammortizzatori sociali) rispetto alla media dei paesi europei rende più importante il ruolo del sostegno familiare. Dei 924 mila lavoratori a termine tra 20 e 29 anni, oltre il 40 per cento vive in contesti familiari che non sono in grado di sostenerli adeguatamente. Tale informazione, che si riferisce al sostegno che il giovane riceve dagli altri membri della famiglia, è ricavata attraverso l’utilizzo di informazioni quali la condizione occupazionale, il titolo di studio ed il livello professionale dei membri della famiglia stessa.
Dei giovani di età compresa tra 20 e 29 anni con un lavoro flessibile, circa il 15 per cento vive in famiglie dove nessuno degli altri membri è occupato. In tale situazione, piuttosto che ricevere un sostegno, il giovane contribuisce col suo lavoro al sostentamento degli altri membri della famiglia. Un ulteriore 10 per cento dei giovani precari ha un solo membro convivente occupato, ma anch’egli con un’occupazione a tempo determinato. La restante parte dei giovani con un basso sostegno, circa il 16 per cento del totale dei lavoratori a termine, vive in famiglie con un solo occupato che, pur avendo un lavoro stabile, svolge una professione di livello medio-basso.
La presenza di giovani con lavoro a termine e basso sostegno economico da parte della famiglia è diffusa su tutto il territorio nazionale. Nondimeno, i lavoratori a termine trovano mediamente minor sostegno nel Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese. Nelle regioni meridionali, infatti, l’incidenza dei giovani che vivono in famiglie con maggior disagio arriva al 50 per cento. Particolarmente elevata è inoltre la quota di giovani che vive nei contesti più difficili, in cui non è presente nemmeno un occupato.
I giovani con lavoro a termine e in possesso di laurea si ritrovano più frequentemente in famiglie che presentano situazioni più vantaggiose (68,4 per cento dei laureati), laddove al contrario si registra una più forte incidenza di giovani con bassi titoli di studio che vivono in famiglie in condizioni più critiche (56,5 per cento).

L’offerta nel settore istruzione

All’interno della spesa per interventi sociali l’istruzione rappresenta la seconda funzione sul totale per incidenza. In questo settore le competenze sono di pertinenza dello Stato e degli Enti territoriali per quanto riguarda l’istruzione scolastica e degli Enti per il diritto allo studio per quella universitaria.
I recenti interventi di riforma hanno riguardato sostanzialmente l’organizzazione del settore, con l’attuazione di politiche di decentramento fondate sull’ampliamento dell’autonomia gestionale, che per l’università si è spinta fino all’autonomia finanziaria.
Nel sistema scolastico le linee del processo di riforma sono definite dalla legge delega n. 53 del 28 marzo 2003 “Per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale”. Nell’anno scolastico 2004/2005 la riforma ha preso avvio con l’entrata in vigore del regolamento attuativo relativo alle scuole dell’infanzia, elementari e medie. L’attuazione della riforma non ha dunque dispiegato ancora tutti i suoi effetti.
Anche il sistema universitario è stato soggetto negli ultimi anni a provvedimenti legislativi che ne hanno mutato i principali aspetti. Si è trattato di provvedimenti che, assegnando agli atenei l’autonomia statutaria e regolamentare prima e, successivamente, l’autonomia finanziaria, hanno portato sostanzialmente a termine il processo di decentramento, per l’analisi del quale è essenziale soffermarsi sull’esame dei divari territoriali di offerta. Inoltre, particolare impatto sull’offerta universitaria è stata l’attuazione della riforma dei cicli accademici, per la quale si cercherà di documentare gli effetti ponendo a confronto l’offerta nel vecchio e nel nuovo ordinamento.
Nell’anno scolastico 2004/2005 il numero delle scuole sul territorio nazionale è pari a 57.707 unità. Di queste poco meno dell’80 per cento sono scuole pubbliche. Il 43 per cento sono scuole dell’infanzia, poco meno di un terzo sono scuole primarie, il 14 per cento sono scuole secondarie di primo grado e il restante 11 per cento sono scuole secondarie di secondo grado.
Il rapporto tra scuole pubbliche e private si presenta abbastanza eterogeneo a livello regionale: si va dal 93 per cento di scuole pubbliche in Basilicata, al 69,2 per cento in Veneto.
Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia, l’offerta delle strutture è diversificata sul territorio nazionale, ma il grado di copertura dell’utenza è elevato in tutte le regioni: a fronte di una media di 1,5 scuole ogni 100 bambini tra 3 e 5 anni, si va da 2,7 scuole ogni 100 bambini della Valle d’Aosta a 1,2 della Lombardia. Sono in prevalenza le regioni settentrionali quelle in cui il numero di scuole e di sezioni per 100 bambini è inferiore alla media nazionale; in queste regioni si registrano i valori più elevati di bambini per sezione.
Nelle scuole dell’infanzia, la quota di istituti privati è molto più elevata che negli altri ordini scolastici e pari al 33,0 per cento per l’anno scolastico 2004/2005. Anche in questo caso la situazione a livello territoriale è assai diversificata: si va dal 10 per cento di scuole dell’infanzia private della Valle d’Aosta, alla situazione del Veneto dove le scuole private superano nettamente quelle pubbliche (1.080 contro 688). Pure in Lombardia l’offerta privata di scuole dell’infanzia supera, anche se di poco, quella pubblica, mentre in Campania ed Emilia-Romagna è di poco inferiore, rispettivamente, al 40 per cento e al 35 per cento del totale delle scuole.
Oltre il 90 per cento delle scuole dell’infanzia, senza rilevanti differenze tra strutture pubbliche e private, fornisce un servizio mensa. I servizi di mensa e gli spazi giochi, e in misura minore gli scuolabus, sono in genere meno presenti nelle regioni del Mezzogiorno. Nelle scuole d’infanzia il servizio di scuolabus risulta attivo nel 46 per cento delle scuole pubbliche e nel 30 per cento di quelle private.
Nella scuola primaria la variabilità territoriale dell’offerta è più accentuata. A fronte di un valore medio di 0,7 scuole ogni 100 bambini tra 6 e 10 anni su base nazionale, il campo di variazione oscilla tra l’Emilia-Romagna (0,6 scuole per 100 bambini) e la Valle d’Aosta (1,6 scuole per 100 bambini). Tuttavia, la variabilità del numero di alunni per sezione è ridotta.
Gli istituti di istruzione primaria sono per il 90 per cento pubblici. In Lazio, Campania, Liguria, Sicilia, Lombardia e Puglia l’incidenza di scuole primarie private risulta superiore rispetto alla media nazionale.
Il servizio mensa (presente nel 63,1 per cento delle scuole primarie) viene offerto in misura superiore nelle scuole private: rispettivamente nell’85 per cento delle scuole private contro il 61 per cento delle scuole pubbliche. Lo scuolabus, invece, è assicurato nel 64 per cento delle scuole pubbliche e nel 28 per cento di quelle private.
Come nel caso della scuola dell’infanzia, i servizi offerti risultano generalmente meno diffusi nel Mezzogiorno.
La situazione dell’offerta in rapporto agli studenti appare territorialmente più equidistribuita nella scuola secondaria. L’offerta di scuole secondarie di primo grado a livello nazionale è pari a 0,5 scuole ogni 100 giovani tra 11 e 13 anni.
Oltre il 90 per cento delle scuole secondarie di primo grado sono pubbliche, ma Liguria, Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna hanno una presenza di istituti privati superiore a quella media nazionale (8,6 per cento) fino ad un massimo del 18,1 per cento. Nelle regioni meridionali è meno diffuso il servizio mensa (particolarmente in Puglia, 6,8 per cento), con le eccezioni di Basilicata e Calabria che presentano percentuali superiori alla media nazionale.
L’offerta di scuole secondarie di secondo grado a livello nazionale è di 0,2 scuole ogni 100 giovani tra 14 e 18 anni, con bassa variabilità regionale. Il rapporto tra alunni e numero di classi e tra alunni e docenti è generalmente inferiore alla media nelle regioni del Centro e del Nord.
Per analizzare l’offerta delle scuole superiori di secondo grado sul territorio nazionale le varie tipologie di istituto sono state raggruppate in tre categorie. Il primo gruppo è costituito dai licei (classico, scientifico e linguistico) e dagli istituti magistrali; il secondo da tutti gli istituti professionali e dall’istruzione artistica (licei artistici e istituti d’arte); il terzo dal complesso degli istituti tecnici. I licei e gli istituti magistrali, da un lato, e gli istituti tecnici, dall’altro, sono le tipologie di istruzione superiore di secondo grado più diffuse; ciascuna tipologia rappresenta circa il 36 per cento dell’offerta. In Emilia-Romagna e in Umbria i licei sono la categoria meno presente, con percentuali sul totale delle scuole intorno al 30 per cento. Gli istituti professionali, compresa l’istruzione artistica, sono invece meno diffusi sul territorio italiano, con una presenza percentuale che oscilla tra il 22 e il 28 per cento.
L’offerta pubblica relativa alla scuola secondaria superiore di secondo grado riguarda 5.079 istituti o scuole (77,2 per cento), quella privata 1.498 (22,8 per cento) (Tavola 6.18). Considerando le varie tipologie di istituto, la quota più elevata di privato si registra tra i licei e gli istituti magistrali (32,5 per cento), quella più bassa tra gli istituti professionali (9,7 per cento). A livello regionale si è in presenza di una discreta variabilità. Ad eccezione del Molise, dove non esistono scuole private, per i licei e gli istituti magistrali la percentuale di privato è massima in Lombardia (49,2 per cento) ed è minima in Basilicata (5,4 per cento); negli istituti professionali, il massimo si raggiunge sempre in Lombardia (22,5 per cento) mentre, oltre al Molise, non esistono scuole private in Friuli-Venezia Giulia e in Umbria; infine, per gli istituti tecnici la quota di privato più elevata si osserva in Sicilia (38,0 per cento), quella più bassa in Sardegna (7,0 per cento).
Negli ultimi decenni il sistema universitario italiano è stato oggetto di numerosi provvedimenti legislativi che ne hanno mutato profondamente l’assetto. Già a partire dalla fine degli anni Ottanta, al fine di perseguire una politica di decentramento, è stata concessa agli atenei l’autonomia statutaria e regolamentare (l. n. 168/1989) nonché una prima forma di autonomia nella definizione dei contenuti didattici dei corsi di studio (l. n. 341/1990); successivamente è stata introdotta anche l’autonomia finanziaria per le università (l. n. 537/1993). Con il decreto ministeriale n. 509/1999, che ha ampliato i margini di autonomia gestionale, organizzativa e didattica degli atenei, si è di fatto dato avvio all’attuazione della riforma dei cicli accademici.
La nuova organizzazione didattica viene definita del “tre più due”, in quanto si concretizza in un primo ciclo di tre anni, maggiormente orientato alle professioni, al termine del quale si consegue la laurea (di primo livello), seguito da un secondo ciclo di due anni, più orientato alla conoscenza avanzata e all’approfondimento scientifico, al termine del quale si consegue la laurea specialistica (di secondo livello). La minore durata dei corsi di laurea13, oltre all’obiettivo di anticipare l’età media di inserimento nel mercato del lavoro dei laureati e consentire l’allineamento del sistema agli standard degli altri paesi, si prefigge anche la finalità di ridurre il consistente fenomeno della dispersione e quello altrettanto rilevante della diffusa irregolarità di percorso.
La riforma prevede, oltre alle lauree triennali e a quelle specialistiche, alcune lauree specialistiche a ciclo unico che si conseguono dopo un unico percorso formativo di cinque o sei anni e che rilasciano un titolo equipollente alle lauree specialistiche di secondo livello. Dopo il conseguimento del titolo di primo e di secondo livello sono possibili ulteriori percorsi formativi: accanto ai preesistenti dottorati e alle scuole di specializzazione si sono aggiunti i master di primo livello, cui si può accedere anche con la laurea triennale, e i master di secondo livello accessibili solamente a quanti sono in possesso della laurea specialistica.
A fronte di queste rilevanti trasformazioni, è di notevole interesse analizzare come si è modificata l’offerta formativa e la sua distribuzione a livello territoriale, comparando gli assetti prima e dopo la riforma. Ciò è avvenuto con la costituzione di nuove università, con la delocalizzazione delle attività da parte delle università esistenti (sia attraverso l’istituzione di nuove sedi decentrate, sia con l’attivazione di corsi di studio fuori dal comune dove ha sede l’università) e, infine, con l’aumento dell’offerta in termini di corsi di studio attivati. A tal fine, si confronta la situazione dell’anno accademico 1999/2000 (ultimo anno precedente all’avvio sperimentale delle nuove tipologie di corsi di laurea) con quella dell’anno accademico 2004/2005 (ultima informazione disponibile). In particolare, la comparazione riguarderà la dotazione di strutture didattiche (in termini di sedi universitarie e corsi di studio) e il numero degli studenti.
Nel corso del tempo, è progressivamente aumentata l’offerta formativa in termini di sedi universitarie sul territorio nazionale. In particolare, dall’anno accademico 1999/2000 al 2004/2005, il numero di sedi passa da 93 a 97, in 89 atenei di cui 63 statali. Le regioni nelle quali, nel 2004/2005, è più consistente la presenza di sedi universitarie sono Lombardia (15) e Lazio (12); ad avere una sola sede accademica, invece, sono Basilicata, Liguria e Valle d’Aosta (per quest’ultima regione l’unica sede universitaria, peraltro, è stata istituita solo nell’anno accademico 2000/2001). Al modesto incremento delle sedi universitarie si affianca una ben più rilevante espansione del numero di comuni coinvolti nella didattica, pari a 192 nel 1999/2000 e a 253 nel 2004/2005. L’incremento non è stato comunque omogeneo nelle varie regioni: a fronte di un ampliamento della didattica in Puglia a 10 nuovi comuni, in Liguria e Molise si sono registrate delle riduzioni, anche se di modesta entità. Nel 2004/2005, le regioni con il più rilevante numero di comuni sedi di corsi universitari sono Lombardia (28) e Sicilia (23).
I cambiamenti più rilevanti investono il numero di corsi attivati a seguito della riforma dei cicli accademici. La riforma, entrata a regime a partire dall’anno accademico 2001/2002, fissa a livello centrale le cosidette classi delle lauree e delle lauree specialistiche, ossia tipi generali di corsi di studio entro i quali i regolamenti didattici dei singoli atenei possono creare specifici corsi, nel rispetto di un numero minimo di crediti formativi necessari per il conseguimento del titolo (i crediti formativi sono stati introdotti per garantire e facilitare la mobilità fra percorsi formativi all’interno del sistema universitario). In particolare, tutti i corsi di laurea che gli atenei istituiscono nell’ambito di una determinata classe condividono gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative indispensabili per il conseguimento del titolo, ma si differenziano tra loro nella denominazione e negli obiettivi formativi specifici, nonché per quanto riguarda i crediti e le eventuali propedeuticità di insegnamento.
La riforma dei cicli accademici, introducendo nuove tipologie di corsi universitari e concedendo agli atenei maggiore autonomia nella creazione di specifici corsi nell’ambito del nuovo sistema delle classi di laurea, ha prodotto come principale effetto il notevole incremento del numero di corsi attivi, passato da 2.156 nel 1999/2000 a 3.336 nel 2004/2005, con una crescita percentuale prossima al 55 per cento.
Come è nelle attese, nel 2004/2005 i corsi del vecchio ordinamento che ancora immatricolano studenti sono in numero alquanto contenuto (65 corsi di laurea, due corsi di diploma universitario e uno di scuola diretta a fini speciali), mentre l’offerta formativa attivata per chi si iscrive per la prima volta all’università a corsi del nuovo ordinamento è composta da 3.089 corsi di durata triennale e da 179 corsi di laurea specialistica a ciclo unico. Secondo le analisi condotte dal Cnvsu l’offerta formativa appare in parte ridondante. In particolare per l’offerta di corsi specialistici si fa notare che essi dovrebbero essere attivati soltanto quando le relative attività di ricerca sono particolarmente sviluppate nell’ateneo; di conseguenza le diverse specialità non dovrebbero essere necessariamente omogenee sul territorio. D’altro canto, anche l’ammissione dei laureati di primo livello a tali corsi di laurea dovrebbe essere coerente con le capacità e le potenzialità degli studenti. A livello territoriale, tra il 1999/2000 e il 2004/2005, si registrano le variazioni più cospicue, con un raddoppio dei corsi, in Puglia e nel Lazio; viceversa, gli incrementi più contenuti si osservano in Basilicata (+10,5 per cento) e in Liguria (+16,7 per cento). Nel 2004/2005, per quanto riguarda le nuove tipologie di corsi di primo livello, le regioni con il maggior numero di corsi di laurea triennali attivi sono Lazio (403), Lombardia (364) ed Emilia Romagna (295), mentre i corsi di laurea specialistica a ciclo unico sono diffusi soprattutto in Emilia Romagna (22), Sicilia (20) e Lombardia (19).
A questa offerta formativa si aggiunge quella rappresentata dalle lauree specialistiche di secondo livello: si tratta nel 2004/2005 di 2.168 corsi (i corsi di laurea specialistica attivati nel 2002/2003 erano 533). Tali corsi, così come avviene per le lauree triennali, sono presenti in misura maggiore nel Lazio (294), in Lombardia (263) e in Emilia-Romagna (211). L’ampliamento quantitativo dell’offerta formativa è stato accompagnato da un ampliamento anche qualitativo. Nella valutazione dell’ampliamento dell’offerta formativa occorre tuttavia tenere conto del fatto che la diversa denominazione dei corsi di studio non sempre riflette la diversità dei loro contenuti. Inoltre, una parte consistente dei corsi attivati non rispetta i requisiti minimi definiti dal Cnvsu e adottati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur). In particolare, il 32 per cento delle facoltà ha introdotto corsi che non raggiungono i requisiti quantitativi minimi e il 57 per cento delle facoltà ha corsi al di sotto degli standard quantitativi e qualitativi minimi. La varietà dell’offerta formativa può essere analizzata con riferimento sia alle facoltà sia alle classi di laurea attivate nei diversi contesti regionali. Per quanto riguarda i tipi di facoltà del sistema universitario, in cinque anni questi sono aumentati in modo considerevole: da 28 nel 1999/2000 a 41 nel 2004/200520. I nuovi tipi di facoltà non sono stati attivati però uniformemente su tutto il territorio nazionale, bensì solamente in poche università e di conseguenza in un numero limitato di regioni; mentre in Friuli- Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Basilicata e Calabria questi sono rimasti invariati, nel Lazio risultano attivi nel 2004/2005 sette tipi di facoltà in più rispetto al 1999/2000.
Il grado di copertura disciplinare (percentuale di tipi di facoltà attivi in ciascuna regione sul totale dei tipi italiani) presenta, nell’ultimo anno a disposizione, forti variazioni a livello territoriale: l’indicatore, infatti, supera il 50 per cento nel Lazio, in Lombardia e in Emilia-Romagna, mentre è inferiore al 25 per cento in Basilicata, Molise, Trentino-Alto Adige e Calabria.
Informazioni di maggior interesse sul livello di varietà dell’offerta formativa nelle diverse regioni si possono ottenere analizzando la percentuale di classi di laurea attive in ciascuna regione sul totale dei tipi italiani nell’anno accademico 2004/2005: tale quota risulta superiore al 90 per cento nella metà delle regioni italiane. Da rilevare la peculiarità della regione Toscana che, a fronte di un grado di copertura dei tipi di facoltà prossimo al 37 per cento, riesce a coprire quasi la totalità dell’offerta formativa in termini di classi di laurea. Come si è già notato, tuttavia, al dato sulla copertura disciplinare va associata l’informazione sul rispetto dei requisiti minimi: in poco più di 500 facoltà circa 170 hanno istituito corsi privi di tali requisiti.
Dal 1999/2000 al 2004/2005 si riscontra anche un forte incremento nella domanda di formazione universitaria: gli immatricolati sono passati da circa 276 mila a quasi 332 mila (+20,4 per cento) e nel complesso le iscrizioni sono aumentate da circa 1,7 milioni a oltre 1,8 milioni (+8,7 per cento). Cresce inoltre la propensione degli studenti di 19 anni che hanno conseguito il diploma di maturità a proseguire gli studi: su 100 maturi oltre tre quarti si immatricolano nel 2004/2005 contro il 64 per cento del 1999/2000. Aumenta anche la percentuale di iscritti regolari, ossia di studenti che sono iscritti all’università da un numero di anni inferiore o pari alla durata legale del corso; al contempo scende la quota di studenti inattivi, cioè dei soggetti che non sono riusciti a conseguire alcun credito nell’anno di riferimento. Tuttavia, non diminuisce il numero di studenti che abbandonano dopo il primo anno: uno studente su cinque non si iscrive al secondo. Nello stesso periodo si è riscontrata anche una crescita di quanti hanno conseguito un titolo universitario: da poco più di 152 mila nell’anno 1999 a quasi 269 mila nel 2004 (+76,5 per cento). Il boom delle lauree nel 2004 è dovuto sia al consistente numero di laureati nei nuovi corsi triennali (92.304 laureati), a ciclo unico (7.299) e biennale (4.247), sia all’elevata presenza di diplomati e laureati in corsi tradizionali (164.971).
Il notevole ampliamento dell’offerta formativa in precedenza analizzato trova conferma nel raffronto tra l’offerta stessa e la domanda (sia potenziale sia effettiva). Infatti, tra il 1999/2000 e il 2004/2005, è consistente l’incremento del numero di corsi per 10 mila giovani tra i 19 e i 25 anni (ossia la popolazione in età di iscrizione universitaria, considerata come approssimazione della domanda potenziale), passato da 4,1 a 7,4 (Tavola 6.24). Nel 2004/2005 la situazione migliore per i potenziali studenti universitari è quella del Friuli-Venezia Giulia, con 16,2 corsi attivi a disposizione per 10 mila giovani tra i 19 e i 25 anni della regione. Inoltre, in tutte le regioni del Centro i valori dell’indicatore sono superiori alla media nazionale. Al contrario, le situazioni più disagiate sono quelle che devono affrontare i potenziali studenti universitari della Basilicata e della Campania, i quali hanno a disposizione solo quattro corsi in media per 10 mila giovani tra i 19 e i 25 anni.
Sempre per effetto del notevole ampliamento dell’offerta dei corsi, tra il 1999/2000 e il 2004/2005 si è registrata la riduzione del numero medio di studenti per corso attivo (776 nel 1999/2000 contro 546 del 2004/2005, con una diminuzione del 29,7 per cento), nonostante nel quinquennio in esame sia comunque aumentato il numero degli iscritti all’università. A eccezione della Basilicata e dell’Abruzzo, che hanno fatto registrare incrementi dell’indicatore, in tutte le altre regioni il numero medio di iscritti per corso attivo ha presentato diminuzioni, particolarmente consistenti in Lazio, Puglia, Sardegna e Veneto. In particolare, nel Lazio e in Puglia il risultato è strettamente connesso all’ingente incremento del numero dei corsi, che ha determinato, nel 2004/2005, l’avvicinamento alla media nazionale dei valori dell’indicatore che, invece, nel 1999/2000, erano superiori. Nel 2004/2005, ad avere il più elevato numero medio di studenti per corso attivo sono Campania, Calabria, Lombardia e Sicilia; viceversa, a presentare un rapporto più contenuto sono Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Basilicata e Molise.
Nel quinquennio esaminato, anche i docenti di ruolo (ricercatori, professori associati e ordinari) sono aumentati del 12 per cento circa, passando da poco meno di 52 mila a oltre 58 mila21. Poiché il numero di corsi attivati è cresciuto più rapidamente, il numero medio di docenti per corso si è ridotto da 24,1 a 17,4. Contemporaneamente, nonostante l’incremento degli iscritti all’università, il rapporto studenti per docente è passato da 32,3 nel 1999/2000 a 31,2 nel 2004/2005. Per quest’ultimo indicatore la situazione è molto diversificata a livello regionale, ma con una graduale convergenza. Il numero di studenti per docente è aumentato, infatti, in modo consistente in Basilicata, Abruzzo e Umbria, mentre si è ridotto particolarmente in Sardegna, Trentino-Alto Adige e Lombardia. Nonostante i forti aumenti verificatisi in Basilicata, l’indicatore permane in questa regione al di sotto dei livelli della media nazionale; specularmente, laddove si sono registrate le riduzioni più consistenti (Trentino-Alto Adige e Lombardia), il rapporto studenti per docente continua ad attestarsi al di sopra della media nazionale. Nel 2004/2005, ad avere il più elevato numero di studenti per docente sono Calabria, Molise, Marche e Abruzzo; viceversa, a presentare un rapporto più contenuto sono Valle d’Aosta, Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Toscana e Basilicata.

Gli studenti con cittadinanza non italiana

Nell’anno scolastico 2004/2005 gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado sono 372 mila, con un incremento del 23 per cento rispetto all’anno scolastico precedente, quando gli studenti stranieri erano circa 303 mila.
Nell’arco di cinque anni il numero degli stranieri iscritti nelle scuole italiane è cresciuto del 152 per cento (tra gli extracomunitari aumenta in particolare il numero degli studenti provenienti dai paesi europei non Ue e dai paesi del continente americano). In conseguenza di questa crescita, si è passati da un’incidenza di 1,7 alunni con cittadinanza non italiana ogni cento iscritti nell’anno scolastico m2000/2001, a 4,2 stranieri per cento alunni nell’anno scolastico 2004/2005. Tale incidenza è più alta per la scuola primaria, 5,3 stranieri per cento iscritti, mentre vi sono poco più di due stranieri per cento iscritti alle scuole superiori.
La composizione percentuale degli studenti stranieri per continente di provenienza, invece, non presenta significative variazioni nei due anni scolastici considerati: quasi la metà (oltre 176 mila stranieri) degli alunni con cittadinanza non italiana provengono da altri paesi europei (erano circa il 44 per cento nel 2000/2001); di questi più del 90 per cento sono cittadini di paesi non appartenenti all’Ue, in particolare Albania, Romania ed ex-Jugoslavia. Nel 2004/2005 quasi il 25 per cento degli alunni con cittadinanza non italiana proviene da paesi africani (nel 2000/2001 erano circa il 29 per cento del totale), prevalentemente dal Marocco; circa il 15 per cento proviene dall’Asia, in particolare dalla Cina, e quasi il 12 per cento dal continente americano, soprattutto da Ecuador e Perù.
Per l’anno scolastico 2004/2005 si rileva una diversa distribuzione della provenienza degli studenti con cittadinanza non italiana all’interno di ciascun ordine di scuola: nella scuola dell’infanzia, ad esempio, coloro che provengono da paesi europei sono poco più del 36 per cento, mentre gli alunni provenienti dai paesi africani rappresentano oltre il 34 per cento del totale; nelle scuole secondarie di secondo grado, invece, gli studenti africani scendono al 18 per cento del totale, mentre salgono al 17,1 per cento quelli provenienti dal continente americano. Significativo è il notevole incremento degli studenti di paesi europei non appartenenti all’Unione europea (il 164 per cento in più rispetto al 2000/2001), che vanno a costituire anche il collettivo più numeroso (quasi il 43 per cento del totale degli alunni con cittadinanza non italiana nel 2004/2005, poco meno del 41 per cento nel 2000/2001).
L’analisi regionale della presenza degli alunni stranieri nella popolazione scolastica, mostra una netta prevalenza di studenti con cittadinanza non italiana nel Nord e nel Centro. Oltre il 37 per cento degli stranieri è iscritto in scuole del Nord-ovest, il 28,5 per cento del Nord-est e poco più del 24 per cento in istituti scolastici del Centro; solo il 7 per cento degli stranieri studia in scuole del Sud, mentre meno del 3 per cento in Sardegna e Sicilia. La regione Lombardia presenta il numero più elevato di alunni con cittadinanza non italiana (più di 90 mila), ma è l’Emilia-Romagna la regione con la più altam incidenza di studenti stranieri: vi sono in media più di otto stranieri ogni cento iscritti, e oltre dieci nelle scuole primarie. Tra le regioni del Sud, invece, fatta eccezione per l’Abruzzo con circa tre stranieri ogni cento alunni, l’incidenza sulla popolazione scolastica si attesta su valori intorno all’unità; in particolare le Isole, insieme alla Campania e alla Basilicata, presentano i valori più bassi (meno di uno studente straniero ogni cento iscritti).

Legge finanziaria Governo Berlusconi – Confronto con la legge finanziaria del Governo Prodi

28. Fermo restando quanto previsto ai commi 26 e 27, al fine di promuovere lo sviluppo economico, e' autorizzata la spesa di euro 201.500.000 per l'anno 2005, di euro 176.500.000 per l'anno 2006 e di euro 170.500.000 per l'anno 2007 per la concessione di contributi statali al finanziamento di interventi diretti a tutelare l'ambiente e i beni culturali, e comunque a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio. Possono accedere ai contributi gli interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il risanamento e il recupero dell'ambiente e per la tutela dei beni culturali.
101. Le disposizioni di cui ai commi 95 e 96 non si applicano al comparto scuola, alle università nonché agli ordini ed ai collegi professionali e relativi consigli e federazioni.
105. A decorrere dall'anno 2005, le università adottano programmi triennali del fabbisogno di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, a tempo determinato e indeterminato, tenuto conto delle risorse a tal fine stanziate nei rispettivi bilanci. I programmi sono valutati dal Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca ai fini della coerenza con le risorse stanziate nel fondo di finanziamento ordinario, fermo restando limite del 90 per cento ai sensi della normativa vigente.
126. Per la proroga delle attività di cui all'articolo 78, comma 31, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e' autorizzata, per l'anno 2005, la spesa di 375 milioni di euro.
127. Per l'anno scolastico 2005-2006, la consistenza numerica della dotazione del personale docente in organico di diritto non potrà superare quella complessivamente determinata nel medesimo organico di diritto per l'anno scolastico 2004-2005.
128. L'insegnamento della lingua straniera nella scuola primaria e' impartito dai docenti della classe in possesso dei requisiti richiesti o da altro docente facente parte dell'organico di istituto sempre in possesso dei requisiti richiesti. Possono essere attivati posti di lingua straniera da assegnare a docenti specialisti solo nei casi in cui non sia possibile coprire le ore di insegnamento con i docenti di classe o di istituto. Al fine di realizzare quanto previsto dal presente comma, la cui applicazione deve garantire il recupero all'insegnamento sul posto comune di non meno di 7.100 unità per ciascuno degli anni scolastici 2005-2006 e 2006-2007, sono attivati corsi di formazione, nell'ambito delle annuali iniziative di formazione in servizio del personale docente, la cui partecipazione e' obbligatoria per tutti i docenti privi dei requisiti previsti per l'insegnamento della lingua straniera. Il Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca adotta ogni idonea iniziativa per assicurare il conseguimento del predetto obiettivo.
129. La spesa per supplenze brevi del personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario, al lordo degli oneri sociali a carico dell'amministrazione e dell'imposta regionale sulle attività produttive, non può superare l'importo di 766 milioni di euro per l'anno 2005 e di 565 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006. Il Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca adotta ogni idonea misura per assicurare il rispetto dei predetti limiti.
130. Per l'attuazione del piano programmatico di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n. 53, e' autorizzata, a decorrere dall'anno 2005, l'ulteriore spesa complessiva di 110 milioni di euro per i seguenti interventi: anticipo delle iscrizioni e generalizzazione della scuola dell'infanzia, iniziative di formazione iniziale e continua del personale, interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione.
131. Per la realizzazione di interventi di edilizia e per l'acquisizione di attrezzature didattiche e strumentali di particolare rilevanza da parte delle istituzioni di cui all'articolo 1 della legge 21 dicembre 1999, n. 508, e' autorizzata a decorrere dall'anno 2005 la spesa di 10 milioni di euro.
153. Nell'ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all'articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e' destinata una quota di 500.000 euro per l'anno 2005 per l'istituzione di un Fondo speciale al fine di promuovere le politiche giovanili finalizzate alla partecipazione dei giovani sul piano culturale e sociale nella società e nelle istituzioni, mediante il sostegno della loro capacità progettuale e creativa e favorendo il formarsi di nuove realtà associative nonché consolidando e rafforzando quelle già esistenti.
154. Il 70 per cento della quota del Fondo di cui al comma 153 e' destinato al finanziamento dei programmi e dei progetti del Forum nazionale dei giovani, con sede in Roma. Il restante 30 per cento e' ripartito tra i Forum dei giovani regionali e locali proporzionalmente alla presenza di associazioni e di giovani sul territorio.
205. Il Fondo di cui all'articolo 27, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e' destinato alla copertura delle spese relative al progetto promosso dal Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri denominato "PC ai giovani", diretto ad incentivare l'acquisizione e l'utilizzo degli strumenti informatici e digitali tra i giovani che compiono sedici anni nel 2005, nonché la loro formazione, fino all'esaurimento delle disponibilità del Fondo stesso. Le modalità di attuazione del progetto, nonché di erogazione degli incentivi stessi, sono disciplinate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, emanato ai sensi dell'articolo 27, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
206. I benefici di cui all'articolo 4, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, concessi ai docenti con le modalità di cui al decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie 3 giugno 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15 luglio 2004, sono prorogati a tutto l'anno 2005.
207. Nel corso dell'anno 2005, i benefici di cui al comma 206 sono concessi anche al personale dirigente e al personale non docente delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e delle università statali, nonché al personale dirigente, docente e non docente delle scuole paritarie di ogni ordine e grado,delle università non statali e delle università telematiche riconosciute ai sensi del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università' e della ricerca 17 aprile 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 29 aprile 2003. Le modalità attuative del presente comma sono definite ai sensi dell'ultimo periodo del comma 11 dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
219. Il CIPE, in sede di riparto annuale delle risorse per le aree sottoutilizzate, tenuto conto dei programmi pluriennali predisposti dall'Istituto italiano per gli studi storici e dall'Istituto italiano per gli studi filosofici, aventi sede in Napoli, assegna risorse per la realizzazione delle rispettive attività di ricerca e formazione di rilevante interesse pubblico per lo sviluppo dell'integrazione europea e mediterranea delle aree del Mezzogiorno. Con la delibera di assegnazione delle risorse sono disposte le relative modalità di erogazione.
538. Il fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e' implementato per l'anno 2005 di 11 milioni di euro.

EUROSTAT – Commento delle statistiche europee in materia di istruzione

Education is crucial
Education, vocational training and lifelong learning play a vital role in the economic and social strategy of Europe. The Lisbon objectives can be attained only with efficient use of resources, quality improvements in the education and training systems and the implementation of a coherent lifelong learning strategy at the national level. The European Council has adopted strategic goals and objectives for the education and training systems to be attained by 2010. The measurement of the progress towards the objectives requires a wide range of comparable statistics of good quality on educational attainment, enrolment in education and training, graduates, teachers, language learning, mobility and investments.
The European statistical system provides data on education and training which are the basis for indicators measuring the performance of the education and training systems in the Union and monitoring progress towards the knowledge-based economy and society within the broader policy for lifelong learning.

The younger generation is better qualified
By comparing those currently leaving the education system with older generations, it is possible to monitor the trends in educational attainment over a long time period of around 30 years. Over the last 30 years or so, disparities in attainment levels between the sexes have been reduced throughout the Union. In the younger generation, women have even slightly overtaken men.

Higher qualifications tend to reduce the risk of unemployment
In general, higher education qualifications seem to reduce, albeit to differing degrees, the risk of unemployment in all Member States.

Policy context
The Community shall contribute to the development of quality education by encouraging cooperation between Member States and, if necessary, by supporting and supplementing their action … .’ ‘The Community shall implement a vocational training policy which shall support and supplement the action of the Member States … .’ (EC Treaty, Title XI, Chapter 3, Articles 149(1) and 150(1), respectively). In its communication on the future of the European employment strategy (EES), the Commission outlines the need to reduce school failure and dropouts and raise the quality of education as a priority area for the new EES. Such policies should lay the ground for future access to lifelong learning, and remain important challenges for many current and future Member States.

Developing human capital
Indicators of investment in human capital are becoming increasingly important, since they reflect the personal and economic impact of keeping the qualifications of the workforce up to date. Developing abilities and skills through continuing vocational training at work is an essential part of lifelong learning and reflects the emphasis enterprises place on the qualifications of their staff.

Policy context
‘Community action shall aim to … facilitate access to vocational training …; stimulate cooperation on training between educational or training establishments and firms.’ (EC Treaty, Title XI, Chapter 3, Article 150(2)) The Commission communication of November 2001 entitled ‘Making a European area of lifelong learning a reality’ underlines in paragraph 1.1 that the ‘Lisbon European Council confirmed lifelong learning as a basic component of the European social model’. Learning is no longer given weight only in the area of education; it is also seen as a critical factor in the areas of employment and social security, economic performance and competitiveness extended to the whole life cycle. This perception reflects the long-term strategy of the Lisbon. Summit to strengthen employment and social cohesion in a knowledge-based society and economy. The Council resolution of 24 June 2003 on social and human capital underlines the importance of learning and training at work in building social and human capital in the knowledge-based society. Special reference is made to ‘… the importance of ensuring that all workers within their specific enterprises and organisations are fully involved and properly trained … which can help facilitate change, and are thus aware of the benefits in terms of improved competitiveness and quality of working life; …’. The resolution also highlights ‘… the problem of well-educated/trained people having more possibilities and, in reality, more access to learning opportunities than less well educated/trained people, who should most benefit from training, such as women and older workers: …’.
The new European employment strategy (EES), agreed on 22 July 2003, has been revised to better account for the needs of an enlarged European Union, to react better to the challenges facing a modern labour market, and to contribute better to the Lisbon strategy. Two key specific guidelines within the EES tackle the need to improve skill levels through lifelong learning. The guidelines call upon Member States to address labour shortages and skill bottlenecks. Member States are also encouraged to implement comprehensive lifelong learning strategies in order to equip all individuals with the skills required for a modern workforce, and to reduce skill mismatch and bottlenecks in the labour market. The guidelines Slovakia Finland Sweden United Kingdom state that policies will aim to achieve an increase in investment in human resources, in Portugal Slovenia particular through a significant increase in investment by enterprises in the training of adults.
Age is not an impediment to access and achievement of education or training. The Nordic countries of Europe reached the highest levels of persons between 25 and 64 years that have had training.

ISTAT – Commento dati ISTAT in material di istruzine
Negli ultimi anni, a seguito della riforma degli ordinamenti didattici, si è osservata una forte crescita del numero di corsi di laurea di primo e secondo livello, nonché dell’offerta formativa delle università. La spinta è a decentrare l’offerta a tutti i capoluoghi di provincia e nel territorio. Aumentano gli iscritti e gli studenti in corso e diminuiscono quelli che non superano alcun esame, anche se gli abbandoni continuano a rappresentare un problema: circa uno studente su cinque non si iscrive al secondo anno. Il numero dei laureati sta aumentando e altri indicatori di efficienza anche gestionale delle singole unità e del sistema sono migliorati, ma è ancora difficile valutare gli effetti della riforma, che presenta risultati contrastanti. Si è diffusa tra gli atenei la valutazione delle attività svolte; in alcuni casi il risultato è stato di correggere comportamenti distorti.
Tuttavia, si è puntato troppo sull’attività didattica che, come abbiamo detto prima, non sempre corrisponde alla richiesta del mercato. Occorre tra l’altro valutare ancora più attentamente la validità e la qualità dell’offerta formativa e lo sviluppo del capitale umano che i corsi di laurea e laurea specialistica consentono, a garanzia degli studenti e delle famiglie e degli stakeholder. È infine fondamentale puntare sulla ricerca, motore dello sviluppo delle conoscenze e dell’economia.

CENSIS – Commento dati CENSIS in materia di istruzione
Mentre il nuovo ordinamento accademico si sta consolidando, con i primi laureati che hanno completato il ciclo della laurea triennale (entrato in vigore nell’anno accademico 2001-2002) e con un’offerta sempre più articolata di lauree specialistiche (ora magistralis) e corsi post-laurea, si ha, l’impressione che, nonostante il “contenitore” sia stato rinnovato, permangano al suo interno delle asimmetrie tra auspicato e concretamente realizzato e che alcune criticità di sistema restino tuttora irrisolte, in particolare: il nodo del finanziamento; l'organizzazione didattica e i conseguenti rischi di “liceizzazione”; la spinta alla competitività fra atenei. Per quanto riguarda il primo aspetto, è interessante rilevare la divaricazione esistente tra l’importanza attribuita al circolo virtuoso che si instaurerebbe tra maggiore produttività scientifica - incremento dei finanziamenti - possibilità di reclutare i migliori docenti disponibili ed il crescente ricorso ai docenti a contratto, che, invece, si riscontra nei fatti. Analizzando i dati resi disponibili dal Miur, il peso percentuale dei docenti a contratto nel 2003 è stato pari al 32,7% del totale dei docenti delle università statali e non, incrementandosi di 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Il numero dei contrattisti, a sua volta, è stato interessato da una variazione percentuale tra il 2002 e il 2003 pari a +24,7% (Università statali +26,1%, Università non statali +19,5%), a fronte di una riduzione dell’1,8% di docenti di ruolo complessivamente considerati (ordinari, associati e ricercatori). Se si prova a tracciare una mappa della dislocazione territoriale di domanda ed offerta universitarie, si può osservare che per l’anno accademico 2003-2004, su 1.814.048 studenti iscritti, l’80,8% studia nella regione dove risiede e solo per il 19,2% in una regione diversa da quella di residenza. I corsi universitari disseminati sul territorio sono 7.074, distribuiti su 241 comuni (pari al 3% del totale dei comuni italiani). Di questi 154 (63,9%) ospitano fino a 10 corsi di studio, frequentati per l’86,1% da studenti della stessa regione e solo per il 13,9% provenienti da altra regione (tav. 2). Per ciò che concerne la spinta alla competitività tra gli atenei, questa sembra sia stata perseguita soprattutto attraverso strategie di marketing. Negli ultimi anni sono cresciute le risorse investite per la pubblicità e per iniziative promozionali del tutto originali rispetto al passato. Sulla base dei dati Nielsen si calcola, infatti, che tra il 1999 ed il 2003 c’è stato un incremento esponenziale degli investimenti in pubblicità pari al 221,5%. I risultati del sistema (il sensibile incremento dei laureati verificatosi negli ultimi anni) possono dipendere da dinamiche diverse: dalla conversione degli esami sostenuti dai “fuori corso” del vecchio ordinamento in un numero di crediti sufficiente al conseguimento della laurea triennale in corso; dalla conversione delle esperienze professionali in crediti formativi e conseguente riduzione dei tempi di laurea; dal recupero degli esami di chi aveva abbandonato gli studi e conseguente “re-immatricolazione” in corso degli stessi. Alla luce di questi meccanismi di recupero e di riconversione degli studi fatti possono, dunque,m essere in parte spiegati gli incrementi del 71,7% delle lauree triennali e del 42,9% delle lauree specialistiche, verificatisi tra il 2003 ed il 2004 (tab. 12).

La distribuzione dell’utenza scolastica nella serie storica che va dall’anno scolastico 1993-1994 all’anno scolastico 2003-2004 evidenzia nel tempo una progressiva liceizzazione nelle scelte di studio dei giovani a discapito dell’istruzione tecnica. Sebbene il fenomeno affondi le sue radici nel lungo periodo, tuttavia, sembra abbastanza evidente come anche le innovazioni normative possano avere contribuito ad incentivare tale deriva (tab. 1). Dalla lettura complessiva dei dati, si evince che l’anno scolastico 1999-2000 rappresenta una sorta di spartiacque nella distribuzione dell’utenza studentesca della scuola secondaria superiore. In tale data si registra un sensibile incremento della capacità di attrazione dell’istruzione di tipo liceale con particolare riguardo a licei scientifici e linguistici. Si passa, infatti, dal 19,0% dell’anno scolastico 1994-95 al 20,2% nell’anno scolastico 1999-2000, quota successivamente riconfermata e superata a fine periodo (20,7%). Andamento pressoché analogo è quello dei licei classici che in corrispondenza dell’anno scolastico 1999-2000 sfiorano quota 10,0% (9,7% per la precisione) stabilizzandosi oltre il 9,0% a fine periodo. Sono, invece, gli istituti tecnici ad essere interessati da un costante progressivo decremento nel corso dell’intera serie storica, che li porta dalla quota massima del 44,4% di studenti ad inizio periodo a quella di 36,7% a fine periodo. L’impatto delle riforme o del loro annuncio sulle scelte di studio è più palese se lo si esamina prendendo in considerazione le variazioni annuali delle iscrizioni al primo anno di corso nelle scuole statali. Infatti, in corrispondenza dell’estensione dell’obbligo scolastico negli istituti professionali si registra a livello nazionale una variazione pari al +15,4% che sale fino al +23,5% nelle aree del Nord Ovest. Viceversa, si osserva una contrazione di 3 punti percentuali nell’anno 2003-2004 con il ripristino dell’obbligo scolastico a 14 anni, preceduta da variazioni di segno negativo negli anni immediatamente precedenti, quando già si dibatteva sul non ancora ben precisato secondo canale della istruzione-formazione professionale. L’istruzione tecnica, da parte sua, ha riportato una sensibile contrazione delle iscrizioni al primo anno (-3,8%) successivamente all’entrata in vigore della già citata riforma Moratti. Diversamente, a partire dall’anno scolastico 2001-2002 e, quindi, dalla progressiva affermazione del costruendo sistema dei licei, sia il liceo classico (+4,7%), sia quello scientifico (+6,2%) ed infine, quello artistico (+3,3%) hanno conosciuto, stando ai dati del Miur, un periodo di apprezzabile incremento del numero di iscrizioni al primo anno, che ha interessato trasversalmente tutte le ripartizioni geografiche del paese. Anche per gli istituti d’arte ed ex istituti magistrali (oramai convertiti in licei sociopsicopedagogici o linguistici) le frequenze al primo anno registrano andamenti sostanzialmente analoghi. Il numero di studenti con cittadinanza non italiana che frequentano il nostro sistema scolastico è da anni in progressivo aumento e, dopo aver superato la quota di 200.000 presenze nel 2002/03, si avvicina ormai ai 300.000 ragazzi, di ben 191 paesi di origine, con un peso percentuale medio sul totale degli studenti che ha raggiunto e superato il 3%. Le previsioni elaborate dal Miur prospettano al 2020 una presenza oscillante tra le 500.000 e le 700.000 unità. Proprio per le caratteristiche proprie dei flussi migratori dall’estero, orientati ovviamente verso le aree con maggiore domanda di lavoro, la distribuzione sul territorio nazionale degli studenti “non italiani” denota una spaccatura del paese tra le regioni del centro nord e quelle meridionali (tab. 5):
Ø il 90,8% degli alunni che non hanno la cittadinanza italiana frequenta le scuole del nord (67,3%) e del centro (23,5%), ed in particolare la Lombardia raccoglie il 23,9% del totale; seguono Veneto (12,5%), Emilia Romagna (12,3%) e Piemonte (10,3%);
Ø sempre tra le Regioni del centro nord si rilevano le più alte quote di “stranieri” nelle aule scolastiche: al primo posto si colloca l’Emilia Romagna (7 alunni non italiani ogni 100); seguono l’Umbria (6,6%), le Marche (5,9%) e la Lombardia (5,8%);
Ø nelle regioni meridionali la presenza di alunni stranieri è viceversa marginale sia in termini di peso percentuale (solo in Abruzzo si registra una quota superiore all’1% e precisamente il 2,4% del totale alunni); sia in valori assoluti (sono appena 359 gli alunni non italiani frequentanti le scuole del Molise).
Particolarmente delicato è il passaggio alla scuola secondaria superiore. La quota di alunni con cittadinanza non italiana è appena dell’1,87%, solo in parte spiegata da fattori demografici e migratori. La maggior parte degli iscritti si concentra negli istituti professionali (41,2%) e, poi, negli istituti tecnici (36,7%), ma in questi indirizzi vengono promossi solo 3 stranieri su 4 (dati 2002-2003).
Rispetto alla situazione riscontrata in altri paesi europei, il nostro paese ha il duplice vantaggio:
Ø di possedere un sistema scolastico in cui le pratiche inclusive dei gruppi svantaggiati in genere rappresentano un punto qualificante della prassi didattica e si basano su un principio di mainstreaming fortemente radicato;
Ø di poter lavorare ancora per un po’ tutto sommato su piccoli numeri, avendo il tempo dunque di individuare buone prassi e metodiche scientificamente validate, per rendere effettivo il diritto di cittadinanza, locale e globale, delle giovani generazioni, italiane e non, che popolano le aule scolastiche. Come riportato nella tabella 8, e pur tendendo conto della disomogeneità dei dati, siamo infatti lontani dalle percentuali di presenza di alunni stranieri riscontrabile in paesi europei sia di antica (Inghilterra) sia di più recente immigrazione (quali ad esempio la Spagna ed il Portogallo).
Nell’ambito delle attività di ricerca e studio sull’evoluzione e lo stato dell’arte dell’Università italiana, il Censis ha quest’anno promosso una indagine focalizzata sui Dirigenti Amministrativi delle Università pubbliche e private e finalizzata a mettere in luce le principali direttrici di intervento dell’azione amministrativa. Nello specifico, hanno partecipato all’indagine 50 atenei, pari al 65,8% del totale, che però nel complesso concentrano ben il 72,8% del personale docente e il 68,3% del personale tecnico amministrativo. Da sottolineare la partecipazioni di 10 su 11 mega-atenei, con oltre 40.000 iscritti. Un primo elemento conoscitivo di sicura rilevanza è il fatto che negli ultimi due anni, l’innovazione organizzativa delle Università italiana ha riguardato soprattutto tre aree di intervento, e cioè: i sistemi bibliotecari, i servizi agli studenti e i sistemi informativi in genere. In effetti, se si analizzano i dati della tabella 10, si osserva che tutti gli interventi sono orientati a sviluppare servizi rivolti in tutto o in parte agli studenti e che molte delle azioni hanno fatto leva sull’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione:
Ø al primo posto in graduatoria tra le azioni su cui si è più lavorato nel biennio appena trascorso si trova lo sviluppo o il miglioramento di servizi di biblioteca on line, aspetto su cui il 34,7% degli intervistati dichiara che si è lavorato “moltissimo”; si tratta di un intervento specifico nell’ambito di una più ampia azione di “miglioramento e razionalizzazione dei sistemi bibliotecari”;
Ø tra le tipologie di servizi specificamente rivolti agli studenti, si trovano due linee di intervento volte allo snellimento delle pratiche burocratiche. La prima si avvale dell’ausilio delle nuove tecnologie per sviluppare servizi on line che permettano, ad esempio, di effettuare iscrizioni o anche di pagare le tasse universitarie (punteggio medio pari a 2,7 su un range da 0 a 4 e il 32,7% di atenei che hanno particolarmente lavorato su questo aspetto); la seconda insiste sul miglioramento dei tempi medi di attesa, facendo leva non solo sulla automatizzazione ma anche sullo snellimento delle procedure.
Nel biennio 2002-2003 il grado di attenzione riservato alla formazione del personale tecnico era in media pari a 2,3 e solo il 13% degli intervistati ha dichiarato di aver agito moltissimo sulla leva formativa, per i prossimi due anni, la quota di Dirigenti Amministrativi che prevede di far leva moltissimo sulla formazione sale al 36,7%. Il fattore “risorse umane”, tuttavia, ad una lettura più attenta non è affatto sottovalutato dai Dirigenti amministrativi intervistati. Tra gli interventi urgenti ancora da realizzare 20 Atenei su 50 indicano ambiti attinenti alla gestione (ed in misura minore alla formazione) delle risorse umane, con particolare riferimento alla definizione di nuove piante organiche, al loro adeguamento, alla valorizzazione delle competenze possedute dal personale.

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